L’ultima notte di Luigi Tenco: 50 anni fa, la morte a Sanremo

Sono passati 50 anni da quando, il 27 gennaio 1967, Luigi Tenco si tolse la vita dopo l’eliminazione della sua canzone al Festival di Sanremo.

Luigi Tenco

Accanto all’ipotesi del suicidio, confermata da una lettera d’addio, si sono avute anche quelle dell’incidente e dell’omicidio. Ma come andò veramente?

Questa sera andrà in onda su Rai Premium, per la prima volta dopo 50 anni, l’intera serata del Festival di Sanremo del 1967 in cui Tenco si esibì per l’ultima volta, poco prima di morire.

Ho dedicato all’episodio un capitolo del mio libro Elvis è vivo! (ormai fuori catalogo da anni) e, dunque, sarebbe difficile riassumere qui un’inchiesta articolata e complessa. Mi limiterò a riportare il racconto che Arrigo Molinari, commissario di Sanremo che quella notte arrivò all’Hotel Savoy dopo il ritrovamento del corpo, fece parecchi anni dopo, nel 2004, una volta lasciata la polizia.

«Stavo andando a letto dopo aver seguito la serata del Festival e controllato che tutto fosse in ordine, quando dal commissariato mi avvertirono di aver ricevuto una telefonata dal Savoy: Luigi Tenco era morto. Mi precipitai all’albergo e nella stanza 219 trovai il cantante disteso sul pavimento con una pistola accanto. Ricordo che tra le prime cose che ho fatto volli accertarmi di chi fosse quell’arma (risultò sua) e che fui colpito da un biglietto su un tavolino…

«C’era una gran confusione. La notizia si era subito sparsa dopo che Dalida aveva trovato il cadavere al rientro in albergo. E i giornalisti premevano per avere notizie, per sapere chi aveva sparato al cantautore. Così, per calmare le acque, li affrontai, lessi il biglietto che avevo trovato e che faceva pensare a un suicidio, e promisi loro che non appena ultimato il sopralluogo li avrei fatti entrare nella stanza e avrei permesso di fare le fotografie. La stessa promessa che feci a Lello Bersani, volto storico della TV. Ma subito dopo venni chiamato nella hall dell’ultimo piano da Gianni Ravera, il patron del Festival.

«Anche lì trovai una confusione incredibile, ma su tutti spiccava la figura di Ugo Zatterin che, al Festival, era nelle vesti di presidente della Commissione selezionatrice, rappresentava la RAI ed era temutissimo per i suoi agganci con il potere romano. Era letteralmente imbestialito. Camminava su e giù per il salone e urlava contro tutti frasi del tipo: “Ve l’avevo detto che quello lì ci avrebbe combinato dei guai, che non doveva mettere piede a Sanremo con tutti i suoi problemi”.

La notizia della morte di tengo sulla prima pagina de La Stampa il giorno dopo.
La notizia della morte di tengo sulla prima pagina de La Stampa il giorno dopo il fatto.

«E quando gli fui presentato, mi minacciò di farmi trasferire nel più sperduto paesino d’Italia, perché avevo reso pubblico il biglietto lasciato da Tenco. Si era reso conto che il clamoroso atto di protesta dell’artista avrebbe scatenato sul Festival un putiferio, come infatti avvenne. Mentre lui desiderava “pilotare” ogni notizia, badando innanzitutto a non creare alcuno scandalo e facendo passare quella scomoda morte per un incidente del tutto casuale.

«Insomma voleva minimizzare al massimo la vicenda e liberarsi al più presto del cadavere. Così mi chiese di farlo sparire. Ma a questo punto si scontrò duramente con Lello Bersani. Bersani diceva che voleva fare un reportage serio, mostrare le immagini della tragedia e riferire tutte le notizie. E apparteneva alla schiera di coloro che volevano la sospensione della manifestazione, per rispetto della vittima. Per Zatterin, invece, lo spettacolo doveva continuare a tutti i costi, dati i forti interessi che già allora roteavano attorno al Festival, e non si doveva assolutamente fermare per lo sconsiderato gesto di un cantautore da lui poco valutato. Ed è quello che volevano anche Ravera e i rappresentanti del Comune.

«Deve sapere che a quei tempi Sanremo era rappresentata come una cittadina sempre felice, piena solo di fiori, di sorrisi e di serenità. Ogni notizia che contrastava con questa immagine veniva rigorosamente censurata, sui giornali non appariva mai una riga. E siccome, come adesso era popolata soprattutto da anziani che venivano a svernare, ogni grande albergo si era dotato di un paio di bare di pronto intervento. Se qualche ospite disgraziatamente moriva improvvisamente per cause naturali, il cadavere veniva immediatamente composto nella cassa e portato via da un’uscita secondaria, per non turbare la vita degli altri ospiti.

«Dunque, mentre fra Zatterin e Bersani avveniva questa litigata, al limite della rissa, un agente mi avvertì che aveva fatto portare via il cadavere dai necrofori del cimitero su ordine di non ricordo chi. Bersani scoppiò a piangere. Zatterin aveva vinto. Concordò con il “suo” gruppo che il Festival sarebbe continuato e un po’ alla volta la sala si svuotò. Rimasero solo alcuni giornalisti e fu allora che, per far fede alla parola data, diedi ordine di riportare la salma del cantante nella sua stanza per permettere ai fotografi e alla troupe di Bersani di fare il loro lavoro. E così avvenne.

«Cercammo di rimettere il corpo e la pistola come li avevamo trovati ma non badammo tanto ai particolari. Per questo apparirono poi delle incongruenze, come i piedi di Tenco sotto il cassettone con la pistola fra le gambe, posizioni insolite per un suicida. Lo so, è una storia incredibile. Ma a quei tempi avevamo larga discrezionalità, a patto di non toccare le istituzioni o la pubblica moralità.

Vita di Luigi Tenco
La più recente biografia dedicata a Luigi Tenco.

«Come attrezzature e come organizzazione, per esempio potevamo essere paragonati all’Iraq di oggi. Eravamo in 40 al commissariato ma avevamo la disponibilità solo di una camionetta e di un auto civile. Per non parlare delle condizioni della magistratura. Oggi, il palazzo di giustizia di Sanremo sembra un piccolo ministero. Allora c’era un procuratore, un sostituto e una segretaria che si divideva fra i due. Non avevamo i soldi neppure per pagare le bollette della luce. E infatti, per mancanza di fondi, quando capitava un morto di morte violenta, non c’era la possibilità di fare neppure l’autopsia. Come avvenne per Tenco. Il fratello ebbe il permesso di riprendersi il corpo e lo portò via l’indomani stesso».

Alla domanda se oggi si comporterebbe nello stesso modo, il commissario Molinari rispose: «No, invece di tenere a bada i giornalisti che premevano e a farmi condizionare da Zatterin, me ne starei chiuso nella stanza della vittima a esaminare ogni spillo, perché ogni minimo particolare può “parlare”. Ma, solo per scrupolo professionale perché sulla morte di Tenco, per come l’ho visto morto, per lo scritto che ha lasciato, per le condizioni di estrema depressione in cui si trovava, come hanno rivelato i suoi amici di quella sera, non ho mai avuto dubbi: si è suicidato. È altrettanto certo, però, che se facessimo oggi tutto quello che abbiamo fatto quella notte, finiremmo tutti in galera».

Poco tempo dopo avere rilasciato quell’intervista, nel settembre 2005, Arrigo Molinari fu ucciso da alcune coltellate infertegli da ignoti. Sui giornali si sottolineava il fatto che grazie a una denuncia di Molinari erano appena stati rinviati a giudizio sei tra ex direttori e direttori della filiale imperiese di un istituto di credito con l’accusa di usura.

LEGGI “VITA DI LUIGI TENCO”


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Massimo Polidoro

Scrittore, giornalista e Segretario del CICAP, è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di oltre 40 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e altre testate. L’avventura del Colosseo è il suo nuovo libro, e tra gli altri Rivelazioni, Il tesoro di Leonardo e i thriller Il passato è una bestia feroce Non guardare nell’abisso. Segui Massimo anche su FacebookTwitter, PeriscopeInstagram, Pinterest, Telegram e la sua newsletter (che dà diritto a omaggi ed esclusive). Per invitarmi a tenere una conferenza scrivi qui.


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5 risposte

  1. Interessante.
    Mia madre (classe 1951), mi ha sempre parlato del caso “Tenco”. Ai tempi la generazione dei “mitici anni ’60”, doveva essere rimasta piuttosto scioccata da quel fatto di cronaca. La musica pareva loro un mondo idealizzato, così come veniva rappresentato dai “musicarelli” (fenomeno cinematografico tutto italiano) e sicuramente lontano e sconnesso dalla brutalità di quello reale. O così almeno ho recepito e dedotto io, con tutti i filtri del non aver vissuto in prima persona quell’epoca e di averla elaborata attraverso i racconti dei miei genitori e, naturalmente, guardando i musicarelli. Dopo tanti anni ancora il volto di mia madre si adombra un poco quando si cade sull’argomento “Tenco”.
    Massimo, perché non valutare una nuova pubblicazione in versione ebook di “Elvis è vivo!”?

  2. Caro Polidoro,
    cosa ne pensa dell’ipotesi esposta nel libro di Aldo Colonna?
    Cioè che fu una vera esecuzione «perché Luigi aveva scoperto le combine dietro il Festival, il giro di scommesse clandestine, il traffico di stupefacenti, la corruzione», in un torbido intreccio con l’affascinante Dalida e soprattutto l’ex marito Lucien Morisse, discografico «legato al clan dei marsigliesi, potente anche al Festival, geloso al punto di considerare Tenco pericoloso»?
    La ringrazio in anticipo,
    Mirko

    1. Personalmente non ne sono convinto, non mi sembra ci siano sufficienti elementi probatori per questo tipo di ipotesi – per quanto possa sembrare suggestiva.

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