The Beatles: it was 50 years ago today…

Giorno più, giorno meno, 50 anni fa usciva un capolavoro della storia del rock: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, che domani tornerà in una nuova edizione rimixata e piena di inediti.

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Ma è da molto più di cinquant’anni che i Beatles, autori di quel disco, contribuiscono a rendere il mondo più bello grazie alla loro musica. Questa è la loro storia…

Fu nel novembre del 1961, infatti, che Brian Epstein faceva un salto al Cavern, il locale sotterraneo dove i giovani di Liverpool andavano per divertirsi. Non era il tipo di posti che frequentasse abitualmente, ma quella volta ci andò perché voleva sentire e vedere coi suoi occhi un gruppo di quattro ragazzi vestiti di pelle di cui gli avevano molto parlato. Si chiamavano “The Beatles” ed erano da poco tornati da Amburgo.

Debitamente colpito, qualche giorno dopo propose ai quattro di fare loro da manager. Il leader della band, John Lennon, aveva sempre la risposta pronta: “Ok, Brian, sarai il nostro manager. Dov’è il contratto?” Nel giro di pochi mesi, Brian si diede da fare e, dopo una fila infinita di rifiuti (memorabile quello della Decca: “Lasci perdere signor Epstein, i gruppi con la chitarra non hanno futuro”), riuscì alla fine ad assicurare loro un contratto con la EMI-Parlophone.

C’era solo una cosetta da sistemare. Al produttore discografico, George Martin, non piaceva il modo di suonare del batterista, dunque si sarebbe servito di un professionista. I Beatles colsero l’occasione per dare il benservito allo sfortunato Pete Best, con cui non si sentivano troppo in sintonia, e al suo posto accolsero a bordo un vecchio amico di Liverpool, Ringo Starr. Adesso erano pronti per entrare in sala d’incisione.

Il 5 ottobre 1962 uscì il primo disco, il 45 giri “Love me do /P.S. I love you”, che raggiunse la 17ma posizione della classifica. Non male per un gruppo di esordienti discografici, ma si poteva fare di meglio. E così fu. Nel 1963 iniziarono sei anni straordinari, che videro i Beatles trasformarsi prima in fenomeno planetario, conquistando i ragazzi di ogni latitudine con quella che fu all’epoca chiamata “Beatlemania”, per evolvere poi in una macchina musicale sempre più perfetta e creativamente geniale.

I Beatles all'Ed Sullivan Show, la prima apparizione televisiva nel 1964 che superò ogni record di ascolto. Nasceva la Beatlemania.
I Beatles all’Ed Sullivan Show, la prima apparizione televisiva nel 1964 che superò ogni record di ascolto. Nasceva la Beatlemania.

Non era infatti nei concerti che i Beatles davano il meglio. Quelli erano un tributo alla celebrità cui nei primi anni non potevano sottrarsi, ma in privato non si nascondevano che doversi esibire di fronte a 50.000 ragazzine urlanti, che nemmeno li ascoltavano, era qualcosa che detestavano. Di sicuro si erano divertiti di più nelle lunghe notti amburghesi, quando suonavano nei club malfamati della Reeperbhan. Certo, allora ad ascoltarli c’era più che altro una clientela di prostitute, spogliarelliste e marinai, ma almeno là potevano essere spontanei e suonare quello che volevano. Ma quei tempi erano finiti e non sarebbe mai più tornati. E per fortuna, avrebbero senz’altro ammesso in privato John, Paul, George e Ringo.

Così, quando finalmente presero coscienza del proprio talento e della straordinaria forza contrattuale che possedevano, decisero di dare un taglio ai concerti e di concentrarsi unicamente sulla musica. Subito i critici musicali sentenziarono che i Beatles erano finiti. Come si sbagliavano.

Rubber Soul, nel 1965, era stato un disco di svolta: non una semplice raccolta di singoli, come usava allora, ma un disco con una sua struttura e un suo carattere ben preciso. Brian Wilson, la mente degli americani Beach Boys, quando lo aveva sentito era rimasto folgorato. “Anche noi dobbiamo fare qualcosa di simile!” aveva detto ai suoi compagni e mentre quelli andavano in giro a suonare per il mondo, lui si rinchiuse in casa a scrivere. Se ne uscì con quel capolavoro che è Pet Sounds, uno dei dischi che hanno fatto la storia della musica.

I Beatles nel 1966, quando decidono di diventare esclusivamente artisti da sala da incisione (notare il look: qualcuno ha detto Oasis?)
I Beatles nel 1966, quando decidono di diventare esclusivamente artisti da sala da incisione (notare il look: qualcuno ha detto Oasis?)

Era una risposta più che ottima a Rubber Soul e certamente non sfuggì ai Beatles, che amavano molto la musica dei cugini americani. A loro volta risposero nel 1966 con qualcosa di straordinario che si intitolava Revolver. Ancora una volta Wilson rimase di stucco: quei quattro ragazzi erano riusciti a superarsi nuovamente.

La loro era una stimolazione creativa a distanza che funzionava a meraviglia, così Brian si mise di nuovo al lavoro per realizzare la più grande opera musicale mai vista fino a quel momento. L’avrebbe chiamata Smile. Ma fu sfortunato. Ci mise troppo e nel giugno del 1967 i Beatles lo precedettero, pubblicando Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, un disco che definire rivoluzionario è veramente poco. A Brian Wilson, consapevole di essere rimasto troppo indietro, costò un esaurimento nervoso, ma il mondo scoprì un modo completamente nuovo di fare musica.

E con il collegamento in mondovisione, dove lanciarono il loro eterno messaggio secondo cui “All you need is love”, toccarono l’apice.

Fu però l’ultima vera occasione in cui i Beatles poterono definirsi un’entità forte e unita. Poco dopo Brian Epstein sarebbe morto e i Beatles si sarebbero lanciati nel fiasco di The Magical Mystery Tour (fiasco televisivo, non certo per la musica ancora una volta meravigliosa). Di nuovo i giornali furono pronti a pronosticare la loro imminente fine.

I quattro dovettero farsi un viaggio in India per schiarirsi le idee e meditare con il Maharishi, il sedicente santone indiano che sosteneva di poter “levitare” con la forza del pensiero. I Beatles non impararono a volare e l’esperienza indiana illuminò il solo George, che vi sarebbe rimasto legato per il resto della sua vita. John se ne andò un po’ schifato dagli approcci poco “spirituali” che il guru aveva tentato con una delle ragazze del gruppo. In compenso, il viaggio, si rivelò musicalmente fruttuoso: se ne tornarono infatti a casa con le valige piene di nuove canzoni. Persino Ringo ne aveva una!

Erano così tante che per tenerle tutte dovettero metterle su un album doppio. Un album che rappresentò un’altra rottura: copertina totalmente bianca, che contrastava con l’esplosione colorata di Pepper, e per la prima volta un disco che portava semplicemente il loro nome: The Beatles. Peccato che “Beatles”, cioè un gruppo, non erano praticamente più.

I Beatles nel 1969, mentre attendono di scattare la foto per la copertina di Abbey Road. L'avventura è ormai al termine.
I Beatles nel 1969, mentre attendono di scattare la foto per la copertina di Abbey Road. L’avventura è ormai al termine.

Gran parte delle canzoni se le erano scritte da soli e in molti casi, salvo eccezioni, se le erano anche registrate da soli, uno strumento alla volta o “usando” i colleghi come session-man. Iniziavano insomma a prendere ognuno strade diverse.

Così, quando fu la volta di tornare in studio per un nuovo disco, ebbero la pessima idea di trasformare quelle sessions in un film e togliersi così dai piedi gli obblighi contrattuali che ancora avevano con la United Artists. Ma accanto alla nascita di un nuovo disco dei Beatles, che avrebbe dovuto intitolarsi Get Back, come un ritorno alle origini, le telecamere impietose ripresero anche il disfacimento di una band.

Troppo imbarazzati dal risultato, iniziarono a prendere tempo e a rimandarne l’uscita. Let it be, così si sarebbe chiamato il disco, sarebbe uscito solo nel 1970, a gruppo ormai dissolto. Unico grande regalo finale ai fan, contenuto nel film che accompagnava il disco, un ultimo concerto, ma per pochi. Si tenne infatti sul tetto degli uffici della loro società, la Apple, e durò finché la polizia non li convinse a smettere perché disturbavano la quiete.

Prima di allora però, superando le antipatie reciproche che nel frattempo erano cresciute a dismisura, le beghe legali che iniziavano a diventare sempre più complesse e tutto il resto, fecero quello che tutti gli altri gruppi sognano ma non realizzano mai: lasciare quando sono ancora in vetta.

Nacque così Abbey Road, quello che voleva essere il loro vero, ultimo disco di addio. Un album che avrebbe dovuto rappresentare una summa di tutta la loro arte e che si sarebbe chiuso con una canzone ovviamente intitolata “The End” e una frase che doveva sintetizzare quello che era il loro messaggio di auguri per il mondo: “And in the end the love you take is equal to the love you make”, alla fine l’amore che ricevi è uguale all’amore che dai.

Sul mio canale Pinterest, centinaia di fotografie rare e insolite dedicate ai Beatles.


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Massimo Polidoro

Scrittore, giornalista e Segretario del CICAP, è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di oltre 40 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e altre testate. L’avventura del Colosseo e I poteri della mente sono i suoi nuovi libri, tra gli altri: Rivelazioni, Il tesoro di Leonardo e i thriller Il passato è una bestia feroce Non guardare nell’abisso. Segui Massimo anche su FacebookTwitter, PeriscopeInstagram, Pinterest, Telegram e la sua newsletter (che dà diritto a omaggi ed esclusive). Per invitarmi a tenere una conferenza scrivi qui.


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