Avvolti
nelle tenebre
Prologo
a Investigatori dell'occulto
La notte calda era illuminata dalla Luna piena. Le due figure che procedevano
lungo la strada deserta si chiedevano se ciò avrebbe potuto influenzare
la missione programmata per le ore successive.
- Sei sicuro di avere portato tutto? – chiese Massimo.
- Sì, ho fatto l’inventario prima di uscire – gli rispose
Gigi. – C’è anche il visore agli infrarossi e il frustino
da difesa in ferro.
- Addirittura!
- Be’…, non si sa mai!
I due giunsero finalmente di fronte a un alto cancello nero chiuso a chiave.
- Tieni un momento la borsa – disse Gigi, mettendosi a frugare in una
tasca dello zaino che aveva con sé ed estraendone un grosso mazzo di
chiavi.
- Eccole: mi hanno assicurato che con queste non avremo problemi.
Così dicendo infilò una delle chiavi nella serratura, tentando
più volte di aprirla, ma senza esito; la chiave sembrava purtroppo girare
a vuoto. – Lo sapevo che non poteva andare tutto liscio... avrei dovuto
controllare se la chiave funzionava.
- Lascia provare me. – Anche Massimo si cimentò, senza però ottenere
risultati migliori. Intorno a loro la strada era deserta: da quando l’avevano
imboccata, soltanto un’auto l’aveva percorsa.
- Dopo aver aspettato tanto, non dovremo mica rinunciare a tutto per una chiave
sbagliata! – osservò Massimo.
- Non abbiamo molte alternative.
- Perché non proviamo con i grimaldelli?
Gigi si chinò e prese una piccola torcia per osservare meglio la serratura.
- In effetti è un modello vecchio, una “Wally” a quattro
denti; non dovrei avere problemi. Guarda se l’astuccio con i ferri è nella
borsa, per favore.
Massimo porse all’amico una piccola busta di pelle nera, chiusa da una
cerniera lampo. Gigi la aprì, fece scorrere le dita sulle diverse laminette
di metallo, finché selezionò quella che faceva al caso loro.
- Attento che non passi nessuno. Sai, non vorrei finire sui giornali di domani
per il motivo sbagliato. Va bene che stiamo aprendo un cancello di cui abbiamo
la chiave, però… – Poi infilò il tensionatore nella
serratura e con un altro grimaldello ricurvo cominciò a manovrare sui
dentini. Un “clack!” finale fece capire che si era finalmente aperta.
I due avevano appena superato il cancello, quando videro un’auto della
polizia sbucare in lontananza.
- Immobile in quest’angolo! – esclamò Massimo spingendo
Gigi dietro un pilastro mentre la pattuglia passava loro davanti senza rallentare.
- Ma cosa ti viene in mente?! – chiese Gigi stupito.
- Così, tanto per movimentare un po’ la cosa – scherzò Massimo.
Richiuso a chiave il cancello dietro di loro, si trovarono in un androne buio
dove era impossibile distinguere qualcosa a un centimetro dal proprio naso.
Massimo accese allora una torcia e, prestando attenzione che il raggio non
potesse essere notato da chi si fosse trovato a passare davanti al cancello,
fece strada. Aperta un’altra porta si trovarono nuovamente all’aperto;
questa volta però erano dentro le mura.
- Certo che è veramente incredibile!
Di fronte a loro si stendeva un enorme campo, fiocamente illuminato da centinaia
di piccole luci disposte ordinatamente in fila una dietro l’altra. Il
Cimitero Maggiore di Pavia era probabilmente uno dei più grandi della
regione.
- Certo non mi sarei mai aspettato che fosse così – osservò Massimo.
- Così come?
- Mah, suggestivo direi. Quasi romantico...
- Credevi forse che ci saremmo trovati nel cimitero di Dellamorte Dellamore,
con una nutrita schiera di zombi a farci compagnia?
- Be’, quello che si è portato la mazza di ferro sei tu, mi pare...
Secondo te, verrà mai qualcuno a quest’ora?
- Direi che se lo dovessimo incontrare non sarà certo uno che ci viene
per i nostri stessi scopi.
- D’accordo, diamoci da fare.
Massimo preparò la videocamera e Gigi si guardò intorno per scegliere
un punto di osservazione. – Andiamo da questa parte – suggerì poi.
La ghiaia che scricchiolava sotto i loro piedi era l’unico rumore nel
più assoluto silenzio. Quando rallentavano, si poteva udire il richiamo
di qualche uccello notturno in lontananza.
- Certo che mi sembra di essere appena entrato sul set di un film dell’orrore – commentò Massimo.
- Ecco, potremmo metterci qui.
- Perché proprio qui?
- Questo è il campo con le sepolture più recenti, quindi se avverrà qualcosa
succederà qui.
L’idea di documentare l’eventuale formazione di un fuoco fatuo
sembrava presa di peso da un racconto di Edgar Allan Poe. – Nonostante
tutti ne abbiano sentito parlare – spiegò Gigi, – in realtà ben
pochi possono dire di aver visto davvero un fuoco fatuo. In ogni caso, uno
degli elementi comuni a tutti i resoconti di avvistamenti è il fatto
che il fenomeno si verificherebbe in presenza di materiale organico in decomposizione.
A quel punto, Massimo decise di approfondire l’argomento: – Ma
cosa ne sappiamo, esattamente, da un punto di vista scientifico?
- Circa la loro natura esistono soltanto ipotesi. Secondo una delle più accreditate,
nel corso del processo di decomposizione di un corpo si libererebbe un gas,
la fosfina, che si accenderebbe poi a contatto con l’aria, dando origine
a fiamme più o meno colorate e luminose.
Quella sera, Gigi e Massimo si erano organizzati per fare in modo di poter
documentare il fenomeno, nel caso si fosse verificato; Massimo lo avrebbe filmato
con una videocamera e Gigi avrebbe cercato addirittura di catturarlo.
- Spiegami un po’, come funziona il tuo marchingegno? – chiese
Massimo.
- È semplice – rispose Gigi, mostrando i pezzi contenuti in una
piccola borsa nera che teneva a tracolla. – Questo può definirsi
un aspiratore di “fuochi fatui”: una pompa a batteria aspira l’aria
attraverso un tubo flessibile; ad esso è poi collegato questo lungo
tubo rigido, sulla cui punta è posizionata una sonda termometrica, che
misura la temperatura della fiamma e la indica sul display che è nella
valigetta. L’aria aspirata gorgoglia attraverso questi due recipienti,
contenenti soluzioni chimiche grazie alle quali si dovrebbero poter fissare
i possibili prodotti gassosi del fuoco fatuo per successive analisi.
- Certo che bardato così sembri davvero un ghostbuster!
Si sedettero poi sulle due seggioline pieghevoli che avevano saggiamente portato
insieme al resto del materiale.
- Sai che non ho per niente paura? – disse Massimo. – Se pensi
che siamo in un cimitero, a mezzanotte, chiusi dentro a chiave... Insomma,
credevo che sarebbe stato molto più inquietante.
- Mah, forse perché è estate. Se fosse inverno, con la nebbia,
l’atmosfera sarebbe probabilmente ben diversa. Intanto dobbiamo sopportare
tante zanzare, mi pare.
- A proposito, non è che magari qualcuno ci vede e chiama la polizia?
- Non c’è niente da temere, il permesso che mi sono procurato
in Comune ci dà il diritto di entrare e uscire come vogliamo: se viene
qualcuno a farci domande, spieghiamo che stiamo conducendo una ricerca scientifica.
- D’accordo. Però adesso chiariscimi un particolare sull’ipotesi
che sia la fosfina, liberatasi durante il processo di decomposizione, a fuoriuscire
e a prendere fuoco a contatto con l’aria. Insomma: come fa ad attraversare
una cassa di zinco?
- Be’, intanto non è detto che la fosfina, probabilmente mescolata
al metano, che è il principale prodotto della decomposizione, si incendi
veramente. Potrebbe trattarsi di un fenomeno di luminescenza fredda. Alcuni
resoconti parlano anche di fiamme senza calore ed è quanto dovremmo
scoprire. Inoltre c’è un altro particolare da tenere presente,
e cioè che le sepolture nel terreno non si fanno con casse di zinco
ma di legno, perché solo così è possibile che avvenga
il processo di decomposizione. Le casse di zinco saldate si usano soltanto
per i corpi tumulati nei loculi e nelle cripte.
Il tempo intanto trascorreva lentamente. Le statue risaltavano chiare nella
penombra che circondava i due amici. Il rumore di foglie smosse dal vento sul
terreno, ingigantito nel silenzio, talvolta faceva trattenere loro il fiato
per alcuni secondi.
- Non succede granché qui, eh? – si lamentò Massimo.
- Sì, è un vero mortorio… Scusa la battuta di cattivo gusto.
Magari dobbiamo stare qui tutta la notte prima di vedere qualcosa che potrebbe
verificarsi soltanto quando l’aria è più fresca, oppure
più calda...
- Quel che è peggio, è che fenomeni di questo tipo sono così rari
che potremmo anche passare tutta l’estate, venendo qui ogni notte, senza
mai vedere nulla. Ehi!, cos’è quello? Ah, no, un riflesso in un
vetro. Un falso allarme.
- Be’, se qui dobbiamo trascorrere delle ore sarà meglio trovare
un modo per occupare il tempo. Potremmo fare una gara
di barzellette, che ne dici?
- Del tipo?
- C’è un tizio che ha un uccellaccio con gli artigli piantati
in testa. Va dal medico, il quale vedendolo chiede: “Cosa posso fare
per voi?”. E l’uccellaccio: “Toglietemi questo coso da sotto
le zampe”.
- Questa l’hai fregata a Tiziano!
- Ah, ce l’hai anche tu quel numero di Dylan Dog? – ridacchiò Gigi.
- Senti, lasciamo stare: è meglio fare qualcosa di utile. Hai presente
il libro che dobbiamo scrivere per Avverbi sulle indagini svolte dal Cicap
dal 1988 ad oggi?
- Sì, e allora?
- Be’, potremmo cominciare con il preparare un elenco dei casi di cui
vogliamo parlare.
- Sono così tanti che dovremmo farne una selezione. E soprattutto dovremmo
dividerli per argomenti. Ad esempio, una prima parte potrebbe riguardare i
casi che rientrano nel campo della parapsicologia.
- Veggenti, sensitivi, rabdomanti…
- Sì, direi tutti quelli lì e anche, naturalmente, telepatia,
psicocinesi, precognizioni…
- Una seconda parte la potremmo dedicare allo spiritismo e ai fenomeni medianici…
- Una terza, poi a tutti quei fenomeni misteriosi non classificabili come “fenomeni
paranormali” propriamente detti…
- E, se sei d’accordo, chiuderei con una sezione sul tema delle guarigioni “inspiegabili”.
- Perfetto. Allora, vediamo subito la sezione sulla parapsicologia, cerchiamo
di fare un elenco dei casi che potremmo raccontare.
- Che fai, cominci tu?
- D’accordo, ecco il taccuino. Tu però intanto continua a tenere
d’occhio il terreno attorno a noi. Vediamo… potrei iniziare con
la volta in cui ho aiutato James Randi a esaminare i sensitivi per lo spettacolo
televisivo americano Exploring Psychic
Powers Live! Che ne dici?
- Sì, mi sembra vada bene.
- Dopo potremmo trattare i casi di poltergeist.
- Io potrei esporre il caso della signora che non fotografava il pensiero e
tu quello dell’altra signora che non vedeva nelle scatole.
- Sì, tanto più che sono dello stesso periodo.
- E subito dopo ci metterei i vari “magneti umani” di cui ci siamo
occupati, compresa Rita Cutolo.
- Ne parli della “veggente-detective” di Como?
- Quella che avrebbe trovato il corpo di un annegato?
- Pensavo di sì. E tu che ne dici di quel tipo che indovinava le carte
guardandone il dorso?
- Sì, credo possa rientrare in questa categoria. Poi c’è ancora
la storia delle cornicette incrociate di Silvio Meyer e quella del rotore di
Ripoff, che potrebbero rientrare nell’ambito della psicocinesi.
- Allora potremmo chiedere a Francesco di inserire la storia della famiglia
che apriva le porte a distanza contraendo gli addominali, non ti sembra?
- Giusto! Cos’altro resta? La levitazione a quattro dita, se vogliamo,
e anche l’ipnosi da palcoscenico.
- Non si tratta proprio di “parapsicologia”, però potremmo
ugualmente metterla qui. Ci sono poi i trucchi di quel tizio che ho conosciuto
in vacanza e l’incontro che tu e Steno avete avuto con Giucas Casella.
- Bene. Mi sembra una prima sezione abbastanza corposa. Vediamo come viene?
- Aspetta. Forse sarebbe utile se prima di entrare nel vivo raccontassimo come
ci siamo avvicinati a questo mondo e perché ci interessiamo così tanto
di questi argomenti. Che ne dici?
- Sono d’accordo. Dai, comincia tu a raccontare...
Massimo Polidoro e Luigi Garlaschelli
(Dal
prologo a Investigatori
dell'occulto dove il
racconto continua...)
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