L’innocente che confessa un crimine non suo è un fenomeno più diffuso di quanto si creda. Nella storia americana 312 persone sono state condannate e poi scagionate dalla prova del DNA: di queste, più di un quarto aveva confessato.
Ma che cosa può indurre qualcuno a prendersi colpe non sue?
«La risposta sta nella pressione incredibile che si accumula durante gli interrogatori di polizia» spiega Saul Kassin, psicologo al John Jay College of Criminal Justice di New York. «Lo stress di queste situazioni è difficile da immaginare se non si è sperimentato di persona».
I sospetti possono dare una falsa confessione perché particolarmente vulnerabili a questo tipo di pressioni, vedono la confessione come una via di fuga o, addirittura, finiscono per convincersi di essere colpevoli anche contro ogni evidenza del contrario.
Negli Stati Uniti la confessione è la prova schiacciante che annulla tutte le altre prove.
Circa l’80% delle volte che una persona interrogata fornisce una falsa confessione finisce per essere condannata e, in almeno quattro casi, una persona che aveva confessato il falso è stata condannata a morte.
Con buona pace del vero colpevole ancora a piede libero.
Massimo Polidoro
Scrittore, giornalista e Segretario del CICAP, è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di oltre 40 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e altre testate. L’avventura del Colosseo e I poteri della mente sono i suoi nuovi libri, tra gli altri: Rivelazioni, Il tesoro di Leonardo e i thriller Il passato è una bestia feroce e Non guardare nell’abisso. Segui Massimo anche su Facebook, Twitter, Periscope, Instagram, Pinterest, Telegram e la sua newsletter (che dà diritto a omaggi ed esclusive). Per invitarmi a tenere una conferenza scrivi qui.