Terrore notturno: spiegazioni finali

Ed eccoci alla conclusione dell’approfondimento che abbiamo dedicato al fenomeno del “terrore notturno”. Con i racconti iniziali di Ronal K. Siegel e il suo “intruso” e David Bianchi con il “rapimento alieno”. Ecco come Siegel è riuscito a spiegare “l’intrusione” che tanto lo aveva terrorizzato:

«Mentre giacevo nel letto in questa paralisi terrorizzante, il mio cervello era attento al più piccolo stimolo. Non potevo muovermi, ma il mio cervello stava utilizzando tutte le sue modalità sensoriali per esplorare l’ambiente con particolare attenzione. Piccoli stimoli, a cui solitamente non si fa caso, venivano percepiti in modo così acuto che il cervello vi attaccava grandi significati. Per esempio, ombre appena percettibili sono normali nella mia camera, visto che da una finestra si può vedere un lampione in strada. Guardando attraverso pupille dilatate dalla paura sarebbe facile vedere queste ombre amorfe, come macchie di inchiostro, trasformarsi in creature del profondo. E l’odore di fumo di sigarette, che periodicamente invadeva la mia camera dall’appartamento sotto al mio, indubbiamente era stato la causa che mi aveva portato a percepire un fiato che puzzava di tabacco…

«Non occorre avere una mente medioevale per vedere un intruso emergere da tutti questi dati. Una delle migliori “conclusioni” cognitive che il cervello può trarre da tutte queste sensazioni è che qualcuno o qualcosa si è seduto o coricato sul corpo».

Anche David Bianchi, ripensando alla sua esperienza di “rapimento alieno” riuscì a vedere le cose più chiaramente quando ci ripensò dopo a mente fredda:

«Ancora incredulo, cominciai a pensare a ciò che mi era accaduto, quando notai un particolare che mi fece tirare un respiro di sollievo. Le mie gambe erano tenute ferme dalle lenzuola, che ci si erano praticamente arrotolate; inoltre, il braccio e la mano destra, quella che avevo usato per avvicinarmi all’interruttore della luce, erano intorpiditi e completamente bloccati sotto al mio corpo. Impiegai circa un minuto per riuscire a sbloccarmi, inoltre mi resi anche conto che per provare ad accendere l’interruttore della luce avrei dovuto usare il braccio sinistro, perché con il destro non c’era modo di arrivarci, era troppo lontano. Eppure mi ricordavo distintamente di aver usato il braccio destro per cercare di accendere la luce pochi istanti prima: non c’era dubbio, dunque, avevo fatto solo un brutto sogno.

«Avevo insomma fatto un sogno nel quale ero rapito da alieni standard, i cosiddetti “grigi”: piccoli, esili, con le mani sottili e gli occhi grandi, che mi volevano portare via presumibilmente per farmi chissà quali esami. Tipico, troppo tipico per essere minimamente vero. E’ chiaro che io conoscevo già la descrizione cialtrona dell’alieno, ma non solo quella: anche la sequenza degli avvenimenti era classica. La luce bianca, la paralisi nel letto, l’impossibilità di urlare, tutte cose viste e riviste nei vari X-files e film di fantascienza. Anche la membrana di gomma che mi veniva stesa addosso l’avevo già vista: era nel film Bagliori nel buio.

«D’altra parte devo dire che durante il sogno io ero convintissimo che ciò che stavo vivendo stesse realmente accadendo… Mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi stato una persona disposta ad accettare, anche solo in parte, l’idea dell’esistenza degli alieni. Se avessi avuto solo lievi dubbi sulla loro esistenza e mi fossi basato su ciò che mi era successo, magari adesso si sarebbero dissolti, e avrei cercato persone con esperienze simili alla mia, e dopo averle trovate la mia credenza negli alieni e in ciò che mi avevano fatto si sarebbe rafforzata. Se mi fosse capitato in mano un libro di ufologia dopo un’esperienza come questa e non mi fossi soffermato ad analizzare serenamente e con calma ciò che mi era successo, forse adesso sarei uno di quelli che va in giro gridando ai quattro venti di essere stato rapito dagli alieni!»

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7 risposte

  1. Spolvero un post vecchio di due anni per condividere un’esperienza di pavor nocturnus appena conclusa. Desidero condividerla perchè mai come questa volta ho affrontato l’attacco in maniera pragmatica. Premessa: ho avuto di queste esperienze fin da piccolo. con una frequenza variabile di circa una volta ogni due mesi. Con il tempo ho imparato a riconoscerle ed affrontarle, ed oggi credo di avere manifestato la massima padronanza che si può mantenere in questi casi.

    Contesto: la mia stanza, ore 16:50, luce accesa, televisione accesa su un poliziesco imprecisato. Interrompo il lavoro per prendermi una mezz’oretta di pausa, punto la sveglia alle 17:30 per essere sicuro poi di tornare al lavoro. Dopo pochi minuti mi addormento.

    Tralasciamo l”incubo, che tanto è sempre diverso.
    Apro gli occhi e con sollievo capisco di essermi svegliato. Luce accesa, tv accesa, tutto regolare. Appena cerco di muovermi però capisco che è uno dei soliti attacchi: sono immobilizzato. Più cosciente che mai decido di non urlare ma di aspettare pazientemente che anche il mio corpo si svegli. Nell’attesa, però, iniziano a materializzarsi attorno a me le figure del mio incubo. Immaginazione o no, decido che piuttosto che tornare nell’incubo preferisco forzare corpo e mente a svegliarsi del tutto. Di solito mi limito a piccoli sforzi intermittenti, ma stavolta, infastidito dalla situazione, decido di usare tutta la mia forza per muovere il corpo costi quel che costi. So che basterebbe cadere dal letto per riprendere conoscenza. Faccio uno sforzo atroce e finalmente riesco a sollevare le braccia. Ma guardandole mi accorgo che le braccia erano ancora immobili sul grembo e che ero parzialmente uscito dal corpo. Anche questa sensazione non è nuova, per cui con molta calma torno a distendermi “dentro il mio corpo”.

    Avendo provato l’approccio “analitico” mi rassegno all’unico rimedio in questi casi: urlare per chiedere aiuto, qualcuno che svegli il mio corpo. Come al solito per quanto mi sforzi viene fuori solo un flebile mugolio. Dopo un’attesa (e un tentativo di urlo) che sembra interminabile, torno in possesso del mio corpo. Controllo l’orologio, 17:08.

    Vado in bagno a sciacquarmi il viso, colore violaceo, un paio di capillari esplosi, forti dolori all’addome. Questa parte è nuova, suppongo l’effetto dello sforzo compiuto durante il sonno.

    Risultato dell’esperimento: stare calmi non serve, urlare non serve, sforzarsi di muoversi non serve (anzi ci si fa male). Sembrerebbe che l’unica soluzione sia attendere e sperare che l’incubo non sia eccessivamente terrificante e reale. Triste la condizione dell’uomo quando può solo rassegnarsi al proprio destino.

  2. @Elisabetta: A dire il vero non è David Bianchi che si è alzato, esplorato la casa e fatto un caffè, ma Siegel. Bianchi ha detto invece che, dopo l’accaduto, si è ritrovato in una posizione scomoda e ha guardato l’orologio. Mi sembra quindi che la spiegazione sia coerente.

  3. Lieto fine per tutti: curatevi solo se l’ incubo è ricorrente. In ogni caso, mangiare leggiero, evitare film dell’ orrore, liti furibonde, ricordi tristi, discorsi disperati e lamentosi sulle ingiustizie della vita, nelle tre ore precedenti il sonno, aiuta a dormire meglio. Io ci metto anche la preghiera esplicita per avere un riposo tranquillo, ma se uno non crede dovrebbero bastare le altre precauzioni elencate.

  4. Nella spiegazione di David Bianchi c’è qualcosa che non mi quadra. Nel racconto dell’incubo aveva detto di essersi, alla fine, risvegliato, alzato, andato in giro per casa a controllare se ci fosse ancora qualcuno e addirittura recato in cucina a farsi un caffè, ancora tutto terrorizzato ed incapace di darsi spiegazioni. Ora invece dice di avere capito tutto stando ancora a letto e vedendo le proprie gambe avvolte nel lenzuolo, il braccio destro sotto il corpo etc… Mah????

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