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Chi ha sparato (davvero) a JFK? Un'inchiesta esclusiva di Diego Verdegiglio
1) Ansa: La pallottola camiciata Full
Metal Jacket calibro 6,5 del fucile italiano è chiamata “pallottola umanitaria”
per la sua stabilità e per la scarsa lesività quando impatta esseri viventi.
Normalmente attraversa il corpo da parte a parte e fuoriesce senza provocare
grandi danni.Quel fucile era del tutto inadeguato per un attentato del genere.
I test sul Càrcano matricola C2766 ritrovato a Dallas non si possono più fare:
nel 1978 gli esperti hanno scoperto che la rigatura della canna era ormai
troppo logora, tanto da non essere più compatibile con i test del 1964. Quanto
sopra detto non è vero. L’esperto balistico dell’FBI Robert Frazier, che usò il
fucile di Oswald per la Commissione Warren, dichiarò sotto giuramento che “non
vi era bisogno di un particolare addestramento per sparare con un fucile dotato
di mirino ottico… I proiettili fabbricati per il Càrcano dalla Western
Cartridge Company sono molto accurati e molto affidabili e non hanno dato
problemi di nessun tipo in dozzine di test… Era un’arma adatta a
quell’attentato” (Testimony of Robert A. Frazier, Warren Commission Hearings
Vol. III, pp. 411-414, 449).
L’esperto di armi americano Art Pence sostiene che “il Càrcano è un buon fucile
da guerra, adatto per uccidere e accurato quanto il fucile statunitense M-14…
La pallottola 6,5 del Càrcano è più pesante dal 30 al 50 per cento rispetto ai
proiettili dello stesso diametro e viaggia alla stessa velocità (circa 680
metri/sec) del fucile d’assalto sovietico AK-47… Alcuni cacciatori usano la
cartuccia 6,5 per abbattere grossi animali (in G. Posner, Case Closed, Warner Books, 1994, p. 104). Ecco quanto scrivo nel
mio libro a proposito del fucile di Oswald: “Il fucile italiano di Oswald in
effetti non è eccezionale, ma ciò non impedisce, nonostante lo scetticismo di
qualche giornalista italiano, come Lucio Manisco, Tito De Stefano o
Michelangelo Notarianni, che con quell’arma si possa compiere l’attentato di
Dallas. Alcuni (come Giovanni Minoli a Mixer), equivocando sul tipo di munizioni utilizzabili,
parlano di arma umanitaria, ergo
inefficace. Stone fa dire a Garrison / Costner, nel suo film, che quella è
l’arma lunga peggiore del mondo. Residuato bellico italiano venduto per
posta, la carabina prodotta a Terni è sì un’arma ibrida (otturatore Mauser,
meccanismo di caricamento Mannlicher) e non molto raffinata, ma non per questo
meno efficace, per precisione, sicurezza e potenza di fuoco, di altri prodotti dello
stesso tipo: inferiore, tuttavia, al suo diretto antagonista, il Lee-Enfield a
dieci colpi. Pierangelo Caiti, nella sua opera sulle cartucce militari, pur
sottolineando che il ’91 presenta difetti meccanici e munizionamento scadente,
cause d’inceppamenti e scarsa manovrabilità dell’otturatore, riconosce all’arma
una certa maneggevolezza, soprattutto nei confronti del Lee-Enfield Mark
IV. “Il moschetto 91/38 - scrive
Alberto Provantini - è tuttavia un fucile di grande precisione. Ancora oggi è
un’arma che, nelle mani di un abile tiratore, è capace di colpire un pacchetto
di sigarette a mille metri di distanza, soprattutto se il mirino a traguardi è
stato sostituito da un cannocchiale”.
Aggiunge John Weeks : “Citeremo anche un esperimento di alcuni anni fa
in cui il ’91 di serie 1936 battè il Garand [ritenuta un’arma migliore,
N.d.A.], provando con ciò che la cartuccia 6,5 era più che letale se usata in
maniera adeguata. Non solo, ma provando anche che, in quanto a precisione, un
Càrcano valeva qualsiasi altro fucile della sua categoria, e forse più”. Il
Männlicher Càrcano è chiamato anche Mauser Parravicino ed è in effetti un
Mauser modificato da un ufficiale italiano con questo nome: non a caso i primi
poliziotti che scoprono il fucile di Oswald, fra questi Seymour Weitzman e
l’onnipresente vicesceriffo Roger D.Craig, parlano di un Mauser, creando
confusione e sospetti fra i ‘complottisti’. Lo stesso Mark Lane, tuttavia,
pubblica nel suo volume L’America ricorre in appello due foto comparative del Mannlicher 6,5 e del Mauser
7,65: le due armi sono molto simili e solo un esperto riuscirebbe a
distinguerle. Non erano certo esperti di fucili italiani i poliziotti di
Dallas. Il perito dell’FBI Robert Frazier ammise davanti alla Commissione
Warren che l’arma di Oswald presentava segni di corrosione e di uso eccessivo,
ma che ciò non poteva aver ostacolato i tiri di Oswald. Un critico complottista
della prima ora, Harold Weisberg, è costretto a convenire che ‘non c'è motivo
di dubitare che quel buon vecchio ’91 da dieci dollari riuscisse a fare con
precisione il suo dovere’. ‘Come arma da fuoco - scrive Jim Moore in Conspiracy
of One - il Càrcano è formidabile e preciso, affidabile e solido...
La sua economicità e vetustà sono la prova migliore di un Oswald solitario con
scarsi mezzi economici’. Queste caratteristiche dell’arma mi sono state
confermate a Roma anche dal perito balistico Antonio Ugolini, dall’armiere
Guerrino Di Clavio e dall’ex-campione olimpionico di tiro al piattello Edoardo
Casciano. L’esperto forense Enrico Manieri mi scrive una sua opinione: “Il
fatto che il Càrcano non abbia fama di arma precisa deriva proprio dal tipo di
lavorazioni meccaniche e dalla qualità dei materiali impiegati. Su questo punto
c’è poco da dire, se non che le prestazioni del fucile erano oneste, ma non
certamente all’altezza di un Mauser tedesco. Segnalo inoltre che, ai nostri
giorni, anche nelle gare per x-ordinanza, il ’91 non regge il confronto con il
Mauser o con l’Enfield. Altro argomento da considerare è il costo di acquisto
del fucile comprato da Oswald: si trattava di un residuato, in cui il
cannocchiale, se pur economico, costava di più, in proporzione, del fucile
stesso: questa è la prova migliore di un Oswald che non navigava certo
nell’oro. Ciò non significa affatto che quel tipo di arma fosse completamente
imprecisa, quanto piuttosto che la produzione di serie fosse contraddistinta da
fucili dotati di buone prestazioni ed altri poco riusciti, cioè la maggioranza.
Normalmente dai fucili che si distinguevano per rosa di tiro venivano
selezionati quelli destinati ai tiratori di miglior livello e i migliori fra
questi dotati di mira telescopica per i tiratori di precisione. E’ però un
fatto che questi esemplari siano rarissimi anche solo nei ricordi di guerra, perché
l’esercito italiano non è mai stato un esercito che privilegiava i reparti
d’elite ma è sempre stato un esercito di popolo. In pratica, il tiro di
precisione non è proprio nel dna del soldato italiano, tanto è vero che non
esistettero in pratica scuole di specializzazione per tale tipo di impiego.
Nella prima guerra mondiale si supplì con cacciatori delle zone montane,
abituati alla caccia in montagna, ma la cosa fu piuttosto estemporanea.Il
tiratore d’elite è di fatto un professionista che si autogestisce, uccide a
sangue freddo e deve avere altissime doti tecniche e fisiche, nonché capacità
di decisione e di azione immediate, oltre ad equipaggiamenti all’altezza della
situazione. Fra le altre cose, tra i soldati italiani sia della prima che della
seconda Guerra mondiale (fronte russo), c’era un sentimento diffuso che il tiro
del cecchino fosse qualcosa di disonorevole e vigliacco. Normalmente un
cecchino non veniva fatto prigioniero... Nel caso JFK, tuttavia, gli
accertamenti balistici dell’FBI sono stati adeguati allo stato delle conoscenze
dell’epoca e sono stati svolti secondo i canoni di una corretta raccolta delle
prove. Segnalo anche che le domande della Commissione sono state
particolarmente interessanti laddove hanno voluto precisare, nel sentire
l’agente speciale FBI che ha curato le indagini balistiche, anche i criteri di
valutazione, in particolare sulla presenza di elementi comuni/assenza di
elementi diversi: si tratta di una precisazione non da poco che depone a favore
del senso critico della Commissione, perché non è solo una questione di metodo,
ma anche di logica nella valutazione del corpo di evidenze raccolte… In quanto
all’impossibilità di riutilizzare l’arma di Oswald per comparazioni balistiche
nel 1978, non significa che l’arma fosse inservibile, ma solo che,
perfettamente funzionante, lasciava sul proiettile tracce completamente diverse
da quelle lasciate 2) Ansa: Il Càrcano sarebbe stato
acquistato da Oswald nel marzo 1963, pochi mesi prima del delitto. Il condizionale “sarebbe stato” usato
dal giornalista dell’Ansa la dice lunga sulla sua pregiudiziale diffidenza per
le due inchieste (Warren e HSCA) che provarono senza ombra di dubbio l’acquisto
del fucile per posta, sotto falso nome, da parte di Oswald. Nove mesi prima non
è “pochi mesi prima”. Oswald acquistò il fucile quando neanche Kennedy aveva
ancora minimamente pensato di recarsi in Texas in autunno. La decisione in
merito al tragitto del corteo nelle strade di Dallas fu approvata da Kenneth
O’Donnel (che è come dire da Kennedy stesso) un mese dopo che Oswald era stato
assunto nel magazzino librario. Roy Truly, il direttore del deposito, dichiarò:
“Era scritto che dovesse andare così. Quel 14 ottobre mi si presentarono due
disoccupati. Avevo bisogno di un uomo per il magazzino principale e di un altro
per un nostro deposito isolato, in un’altra zona, davanti al quale non passava
mai nessuno. Oswald venne per primo, mi fece una buona impressione e io decisi
di tenerlo qui in sede con me…” (Renato Proni, ABC, n. 49, 8 dicembre 1963, pag. 10). 3) Ansa: Poteva
il Càrcano di Dallas esplodere tre colpi in così poco tempo? Ten. Col.
Riso: La cadenza massima di tiro di quest’arma è di 12 colpi al minuto, in
media uno ogni 5 secondi. La
cadenza di tiro mirato di quell’arma è tarata a 12 colpi al minuto, un colpo
ogni 5 secondi per il militare non esperto (sito Internet www.regioesercito), altre fonti relative a
quest’arma (sito
it.wikipedia.org/wiki/Carcano_Mod_91) parlano di 15 colpi al minuto,
ossia uno ogni 4 secondi. I tiratori che usarono il fucile di Oswald dopo
l’attentato avevano una cadenza media di un colpo mirato ogni 2,5-3 secondi. Il
capitano del Regio Esercito Antonino Cascìno, nella sua opera sul ’91, parla di
un colpo ogni 1,5-2 secondi nel tiro rapido. “La cadenza di tiro dell'arma
– mi scrive l’esperto forense Enrico Manieri - non è misurabile in
assoluto, ma deve essere pensata alla luce delle problematiche di affidabilità
e di prestazioni balistiche: evitare inceppamenti, garantire un adeguato
raffreddamento della canna, non sprecare munizioni (a livello di forza armata).
In realtà, quindi, per un numero limitato di colpi (cioè brevi periodi), la
cadenza teorica può essere superata”. Oswald esplose il secondo colpo a circa
3,5 secondi dal primo e il terzo a circa 4,5 secondi dal secondo. La Commissione
Warren stabilì che, andato a vuoto il primo colpo, Oswald ebbe un tempo massimo
di 7,9 secondi per compiere il suo delitto. Basandosi sull’anticipo del primo
colpo (derivato da un nuovo studio del film di Zapruder) la Commissione del
Congresso (HSCA) concluse nel 1978 che l’attentato copriva per i tre colpi un
totale di circa 8,3 secondi. In entrambi i casi, tempi compatibili con le
circostanze attribuite ad Oswald, tiratore scelto del Corpo dei Marines che
aveva raggiunto il secondo dei tre livelli di bravura nel tiro durante il suo
servizio militare. Sul numero di agosto 2007 della rivista italiana “Tac Armi”
il noto perito balistico Paolo Romanini scrive nell’editoriale di apertura:
“Sinceramente sono rimasto un po’ sorpreso dall’ultimo sussulto ricostruttivo
della vicenda JFK. Non so neppure se quanto raccontato all’inizio di luglio
dalla stampa sia il resoconto esatto degli studi condotti dai militari di
Terni… Di una cosa però sono sicuro: sostenere, come ha riportato la stampa,
che in sette secondi non si possano sparare tre colpi mirati con un Càrcano su
un bersaglio posto ad un centinaio di metri di distanza, a essere buoni può
essere definita un’affermazione un tantino avventata! … Qualcuno, ascoltando la
notizia di stampa, ci ha telefonato dicendosi indignato e ricordandoci che in
periodo anteguerra con il Càrcano si sparava alle sagome abbattibili a duecento
metri (sagome Tizioli): in una disciplina, questi bersagli metallici,
solitamente a forma di uomo inginocchiato, come se puntasse il fucile verso il
tiratore, erano cinque e parecchi, partendo ovviamente con il colpo in canna,
in cinque secondi li buttavano giù. Con 4,6-4,7 secondi spesso si vinceva la
gara: qualche fenomeno era sceso attorno ai 4,1-4,2 secondi e anche meno. Un
tempo dai 5,5 ai 6 secondi era ordinaria amministrazione per chi gareggiava…
Continuiamo a credere che Lee Harvey Oswald non abbia fatto nulla di
impossibile se, dalla famosa finestra della biblioteca, ha davvero sparato con
il suo ’91 tre colpi in sette secondi”. Questi i commenti del perito balistico
Edoardo Mori al test effettuato dall’Ansa a Terni: “Avete visto le sciocchezze
che sono uscite dall’Arsenale di Terni a proposito dell’uccisione di Kennedy?
Ma quando mai nell’esercito hanno avuto esperti di balistica terminale? E dove
lo hanno trovato un militare che si fosse allenato a lungo al tiro rapido con
un Càrcano? In USA sulla possibilità di sparare rapidamente più colpi hanno
fatto infiniti test e alla fine hanno ammesso che è cosa fattibile” (dal Forum
del sito www.nntp.it/hobby-armi-moderato/440962-kennedy-e-terni.html). Su “La Stampa” del 2 agosto 2007 Igor
Man ricorda un esperimento di tiro da lui fatto a Dallas il 4 dicembre 1963:
“Ai primi di luglio l’agenzia Ansa ha dato rilievo a un singolare test eseguito
a Terni dal Comando logistico dell’Esercito. Quegli specialisti dovevano
esaminare un glorioso fucile da guerra italiano: il Càrcano modello 91,38
matricola C2766, calibro 6,5 prodotto dalla Regia fabbrica d’armi di Terni. E
ciò per accertare se l’assassino diremo ufficiale (Oswald) di JFK aveva sparato
dal sesto piano del deposito della libreria pubblica [in realtà magazzino
privato di testi scolastici, N.d.A.]di Dallas, da un’altezza di ottanta metri
[erano in realtà diciotto metri, N.d.A.], esattamente tre colpi; uno di essi
fece saltare la calotta cranica di “Camelot” [Kennedy, N.d.A.]. Il verdetto di
Terni differisce dalle conclusioni del “Rapporto Warren” secondo il quale
Oswald agì da solo senza nessun aiuto… A codesta conclusione giunsero anche i
tecnici del Fbi, dopo una ricostruzione animata sul percorso fatale della
decappottabile di Kennedy. La stampa italiana aveva a Dallas tre inviati:
Virgilio Lilli del Corriere della Sera, Auro Roselli del Giorno e chi scrive...
Il metodo di indagine del Fbi non ci convinceva, non tanto per la conclusione
quanto per le sue modalità. Una sera, dopo la oramai abituale discussione sui
tempi e i modi della mitica polizia federale, convenimmo che se un esperimento
si doveva fare, tanto valeva eseguirlo sparando senza cartuccia con un
foto-fucile in modo che ad ogni colpo del percussore scattasse un fotogramma.
Il punto indicato sulla fotografia dalle coordinate del mirino avrebbe corrisposto
al colpo sul bersaglio... Ed eccoci nella vasta soffitta che corre su tutta
l’area del palazzo-libreria. Sette finestroni si aprono lungo la facciata
esterna; da quello che fa angolo sulla sinistra rispetto alla strada,
l’assassino sparò. Oswald piazzò qualche pacco di libri in modo da risultare
defilato e appoggiò l’arma proprio su questi libri… Vale il terzo tentativo, i
primi due essendo andati a vuoto:per l’eccessiva velocità della convertibile e
per l’emozione del tiratore, oltre tutto non pratico dell’arma… Se il risultato
dell’esperimento (nelle condizioni descritte e con lo svantaggio che il peso
della Nikon e di una batteria applicate al fucile con rigidi tiranti di filo di
ferro hanno costituito per il tiratore) è quello detto sopra, è lecito
affermare come, per chi conosceva l’arma (Oswald, che inoltre sparava con un
modello più veloce), sia stato possibile, in cinque secondi e mezzo, far centro
due volte, sia pure con una forte dose di fortuna. Infatti l’assassino aveva
cinque secondi e mezzo per sparare non tre ma due colpi: il primo infatti, era
già in canna”. Numerose furono dopo l’attentato le ricostruzioni del delitto
compiute in Italia e all’Estero e riportate dalla stampa. Vennero eseguite
anche prove di tiro con carabine militari. Alcuni tiratori riuscirono a stare
negli otto secondi attribuiti ad Oswald, altri impiegarono un tempo maggiore.
Qui riporto alcuni dei test eseguiti, con le date di pubblicazione dei
quotidiani: 27 novembre 1963: molti
quotidiani italiani riportano una domanda rivolta dall’agenzia ANSA al campione
olimpionico di tiro, l’austriaco Hubert Hammerer: ”E’ possibile a un tiratore
scelto sparare tre colpi in cinque secondi con un moschetto come quello di
Oswald su un bersaglio mobile rettilineo che si muova a una velocità di 10 - 15
chilometri orari, a una distanza di 180 metri circa?”. La risposta dell’esperto
fu che nei campionati mondiali di tiro con fucile a ripetizione vengono sparati
contro un cervo in corsa... due colpi di seguito nel tempo di appena tre secondi.
E’ improbabile sparare con un fucile a ripetizione con cannocchiale tutti e tre
i colpi in cinque secondi... In circostanze favorevoli è possibile raggiungere
il bersaglio con due colpi. Se tutti e tre i proiettili hanno raggiunto il
bersaglio in 5 secondi, sorge il sospetto di più attentatori”. Paese Sera e
L’Unità concludono che Hammerer ha negato la possibilità di Oswald di compiere
da solo il delitto. Una più attenta lettura ci dà invece un quadro diverso: a)
la sequenza dei tre colpi, nei film, copre circa 7, 9 - 8, 2 secondi e non 5;
b) la distanza del bersaglio variava, a Dallas, dai 42 agli 81 metri, non 150 /
180, come ipotizzato dall’ANSA e da Paese Sera; c) cosa s’intende, nella
domanda, per rettilineo? In allontanamento dall’arma con puntamento dal basso verso l’alto o
passaggio del bersaglio da destra a sinistra davanti al tiratore?; d) la
risposta di Hammerer non contraddice i risultati di Oswald a Dallas: in effetti
furono solo due su tre i colpi che raggiunsero gli occupanti dell’auto presidenziale;
e) nessuno nega le favorevoli circostanze di Oswald ipotizzate da Hammerer. A
chi pensa che una tale fortuna capiti a un tiratore su cento, si potrebbe
chiedere a chi vorrebbero assegnare quell’unica opportunità statistica e perché
questo qualcuno non potrebbe essere Oswald quel giorno a Dallas (si veda dello
stesso giorno: Il Messaggero, p. 10; L’Unità, p. 3; Paese Sera, p. 3; L’Eco di
Bergamo, p. 11). 28 Novembre 1963: Paese Sera (pp.
2 - 3) scrive che“il vice-procuratore di Dallas, Jim Bowie, dice che sarebbe
personalmente capace di caricare, puntare e sparare 3 volte in 5 - 7 secondi.
Il problema è se sarebbe capace di centrare tre volte il bersaglio... Arnaldo
Oppici, armiere del Tiro a Segno Nazionale di Milano, non crede ai tre colpi in
cinque secondi. Dello stesso parere sono i fratelli Beretta, della famosa
fabbrica d’armi. Lo svedese Olle Skoeldberg ha detto a Stoccolma che i tempi di
sparo andrebbero dedotti dall’analisi dei filmati”. Nello stesso numero il
quotidiano pubblica i risultati di una prova fatta dal redattore Giulio Crosti
e dal campione olimpionico di carabina Edoardo Casciano: “Le prove si sono
svolte da una finestra con bersaglio fisso da 25, 50 e 150 metri, ripetute poi
con un bersaglio mobile che procedeva a passo d’uomo sempre sulle stesse
distanze. Ogni volta il tiro è stato effettuato in piedi senza appoggio.
Successivamente appoggiando un gomito e poi la canna sul bordo della finestra.
L’arma usata è un Mannlicher Schonauer austriaco con schneller, ossia un
grilletto ausiliario da premere prima di quello principale. I tempi delle
prove: tre colpi a distanza di 150 metri con bersaglio mobile sparati in 3”, 4”
e 4”, cioè 11” complessivi. Nessuno può sparare tre colpi in 5 secondi a quella
distanza con quell’arma. E’ matematicamente certo".Verifichiamo
quest’affermazione di Crosti. Ho incontrato Edoardo Casciano nel luglio 1991,
nella sua armeria (ora scomparsa) in Piazza Cairoli a Roma. Ricordava la prova
del 1963 e, quando gli sottoposi le reali circostanze dell’attentato, si
sorprese che la ricostruzione di Paese Sera si fosse svolta in cattive
condizioni di luce e con un bersaglio mobile che si muoveva da destra a
sinistra a 150 metri di distanza. Mi disse che, alle condizioni di Oswald che
gli sottoponevo, non c’era bisogno di un campione di tiro per colpire il
bersaglio. Il test del quotidiano romano era palesemente falsato.Vediamo
perché: a) Crosti pubblicò solo i risultati dei tempi sul bersaglio a 150
metri, ossia quasi il doppio della distanza maggiore (80 metri) calcolata a
Dallas per il terzo colpo. Nulla sappiamo dei tempi occorsi per sparare a 50
metri, distanza più simile al secondo colpo di Dallas (58 metri) che attinse
Kennedy e Connally; b) il calcolo dei tempi era errato. I tre secondi iniziali
non vanno conteggiati (come giustamente nota anche F. D. F. su Il Mattino di
Napoli, 28 nov., p. 2) in quanto la durata dell’attentato è stata calcolata, dal primo colpo
possibile all’ultimo evidente, sui fotogrammi del film di Zapruder. Il
cronometro, in sostanza, deve partire col primo sparo. Da quel momento Crosti
avrebbe dovuto calcolare il primo ricaricamento, puntamento e secondo sparo
(circa 3,5”) e il secondo ricaricamento, mira e terzo e ultimo sparo (circa 4,5”) per un totale, appunto, di circa
otto secondi; c) in nessun momento Casciano usufruì delle reali condizioni di
Oswald, che era ben seduto su una scatola di libri, appoggiava la spalla
sinistra e il braccio, imbracato nella cinghia dell’arma, all’angolo della
finestra e il fucile su altre due scatole piene di libri; aveva il bersaglio in
allontanamento quasi rettilineo da un’altezza di 18 metri con angolazione
dall’alto di circa 20° e una buona luce solare quasi zenitale (ore 12,30) da
sinistra rispetto al bersaglio. Lo stesso 28 novembre Il Giornale del Mattino
di Firenze (p. 12) riporta una prova fatta a Washington da un esperto della
National Rifle Association: ha impiegato, per ripetere le prestazioni di
Oswald, 11 secondi la prima volta e 8 secondi al successivo tentativo. A suo
dire, un tiratore allenato con quell’arma poteva commettere quel delitto
(Giornale d’Italia, 28 - 29 nov. 1963, p. 7). Il direttore della National Rifle
Association, Clayton E. Wheat, per conto della rivista Life, ha sparato, con un
fucile identico a quello del delitto e alle stesse distanze, su un bersaglio
mobile: ha centrato tre colpi in 6,2 secondi. Il Quotidiano di Roma del 28
novembre 1963 riporta la prova, a Toronto, del ventunenne canadese Peter
Crampton, tiratore delle Giubbe Rosse in congedo, che riesce a centrare tre
colpi in quattro secondi e mezzo su un bersaglio mobile, usando un Mauser
simile a quello di Oswald. Anch’egli è del parere che un buon tiratore scelto
sarebbe stato in grado di compiere l’attentato di Dallas. Il Telegrafo di
Livorno (p. 9) ammette che i pareri degli esperti sono discordi: “Un campione
accetta la versione della polizia e un altro la contesta”. La prova
dell’olimpionico Ugo Cantelli, allenatore della Federazione Tiro a Segno di
Roma, viene organizzata dal Corriere dello Sport e riportata con ampi commenti
anche da altri quotidiani. Cantelli, assistito da cronometristi professionisti,
spara nel poligono di Tor di Quinto della Capitale con un ’91/38 italiano
calibro 6,5 più maltenuto di quello trovato a Dallas e col quale il campione
non si è mai esercitato. Una seconda prova viene eseguita con una carabina
olimpionica calibro 22 munita di cannocchiale: i tre colpi vanno a segno in 6
secondi (Il Mattino, p. 2; Il Quotidiano, pp. 2 - 3). Scrive Gino Valeriani sul
quotidiano sponsor dell’ esperimento: “La prova consente di dimostrare che, con
quel tipo di fucile, un tiratore allenato può sparare, dopo il primo, altri due
colpi in circa 5 secondi. Per la mira sul bersaglio mobile, il cannocchiale
permette, alla distanza di 100 metri, di colpire con relativa sicurezza anche
se il tiratore, che dev’essere comunque abile, non è un professionista...
Vorremmo aggiungere infine che, a nostro giudizio, l’attentatore di Dallas deve
aver agito in uno stato di fredda esaltazione e di decisa volontà omicida... Un
tragico, criminale campione” (Corriere dello Sport, 28 nov. 1963, p. 3). Il
Giornale del Mattino di Firenze (p. 12) dice invece che, per colpire il
bersaglio mobile, Cantelli ha impiegato 9 secondi, mentre Paese Sera (pp.1, 3)
parla di“bersaglio fisso a 50 metri senza uso del cannocchiale”. 29 Novembre 1963: il Corriere dello Sport pubblica
“l’autorevole parere del generale Giovanni Gatta, Presidente dell’Unione
Italiana Tiro a Segno: Normali due
colpi in quattro secondi... Oswald ha azionato l’otturatore senza distogliere
lo sguardo dalla mira, favorito, nel calcolo del movimento dell’auto, dal
cannocchiale... A Los Angeles un agente ha sparato i colpi in 3" e il Capo
della polizia, Parker, in 3" e mezzo...In Austria un noto cacciatore,
William Hambly - Clark, ha tirato i colpi in 4,6 secondi a 65 metri"
(Corriere dello Sport, p. 1, Gino Valeriani)… 30 Novembre 1963: il Corriere
Lombardo riporta i risultati di una prova di tiro fatta nelle campagne di
Codogno (Milano) da un cacciatore ex - ufficiale degli Alpini e delegato
dell’Unione Italiana Tiro a Segno: tre colpi sul bersaglio mobile in 9,3. 6 Dicembre 1963: la stampa
italiana riporta i risultati della ricostruzione dell’attentato, compiuta a
Dallas dall’FBI, il giorno precedente: una cinepresa 16 mm., collegata al
mirino telescopico dell’ arma di Oswald, permette di accertare la possibilità
del delitto nei tempi stabiliti dall’analisi del film 8 mm. di Zapruder (L’Eco
di Bergamo, 6 dic. 1963, p. 11). Nella stessa data, il Corriere della Sera e La
Stampa (p. 6) pubblicano una prova, fatta a Dallas dai tre inviati italiani
Virgilio Lilli del Corriere, Igor Man de La Stampa e Auro Roselli de Il Giorno,
che conferma la possibilità dell’ attentato in 6 - 7 secondi. Muniti di un’arma
identica a quella di Oswald, vi applicano una macchina fotografica collegata al
grilletto e ottengono dalla polizia locale il permesso di appostarsi alla
famigerata finestra del sesto piano del magazzino librario. Un’auto scoperta,
affittata allo scopo, viene fatta passare in Elm Street. Il tiratore, il
campione di fucile militare Charles T. Davis, giudice di pace e membro del
Rifle’s Club di Dallas, ‘spara’ all’auto tre serie di foto, riuscendo quasi ad
eguagliare la prestazione di Oswald. I tre colpi, nonostante la ricostruzione
imperfetta, mancano di alcuni millimetri le teste e le spalle delle
controfigure sedute nella vettura. Virgilio Lilli conclude evidenziando le
estreme difficoltà dell’attentato, ma anche la sua fattibilità nelle condizioni
ricostruite dall’FBI. Tuttavia la prova dei tre giornalisti (come egli stesso
riconosce) è resa molto dubbia da una serie di fattori negativi : a) le
condizioni di luce sono diverse. Il test si svolge dalle 15,30 in poi, non alle
12,30. Il riflesso solare sull’asfalto è quindi molto accentuato; b) il giudice
Davis, a differenza del ventiquattrenne
Oswald, freddo psicopatico, è un sessantenne molto emotivo. Scrive Lilli: “E' un uomo piccolo e
nervoso... col viso sconvolto dall’emozione... Non allenato a quel fucile...
Per la terribile emozione, al primo nostro passaggio, aveva impiegato a sparare
i tre colpi sette secondi e mezzo; al secondo passaggio pareva dovesse rimanere
stroncato da un colpo e non ha sparato... Doveva aver avuto l’impressione di
commettere veramente il delitto”; c) la velocità dell’auto al primo passaggio è
di quaranta chilometri, al secondo passaggio di trentacinque e al terzo di
venticinque. La velocità reale era di
circa 17 kmh; d) l’auto
della prova passa su una corsia della strada che con tutta evidenza non
coincide con quella centrale percorsa dalla limousine presidenziale; e) il
fucile, non poggiato su cavalletto come nella prova dell’FBI, è sbilanciato
dall’applicazione della macchina fotografica e della batteria elettrica
collegata al grilletto; f) la vettura presa a noleggio dai tre corrispondenti
italiani è più corta di quasi tre metri e mezzo rispetto alla Ford Lincoln del
Presidente (8,20 mt) e non ha le medesime dimensioni e distanze interne tra i
sedili; g) Lilli, Man e Roselli non tengono conto che uno dei tre colpi deve
andare a vuoto: solo due hanno infatti raggiunto Kennedy e Connally; h) le
persone usate come controfigure di Kennedy e di Connally non siedono nelle
posizioni reali: Kennedy era sopraelevato e spostato di circa quindici - diciotto
centimetri a destra rispetto al Governatore, che sedeva sullo strapuntino
ribaltabile. La diversità di pareri degli esperti indica che, per quanto
difficile, l’impresa di Oswald
aveva almeno la metà di possibilità di riuscita: il Caso lo ha favorito. 4) Ansa: Il Tenente
Colonnello Riso dichiara all’Ansa: “Ho preso il 91/38 e gli ho applicato
l’ottica molto alta per consentire l’inserimento del caricatore. Abbiamo
incontrato alcune problematiche: l’ottica così montata non ha una posizione
ergonomicamente corretta per consentire uno sparo mirato al bersaglio. Crea
problemi sia di caricamento sia di armamento dell’incameramento della
munizione, in quanto interferisce tra la leva di armamento e l’ottica durante
il funzionamento. Il nostro tiratore, come abbiamo visto, ha avuto difficoltà
nella fase di armamento a causa dell’ingombro dell’ottica. Il tempo necessario
per esplodere i tre colpi è sicuramente superiore ai sette secondi”. Con l’arma di Oswald o repliche della stessa, e con l’ottica montata nello stesso modo e con un supporto analogo (non con l’alta incastellatura montata a Terni), sono state fatte decine e decine di prove senza che si presentasse nessun inconveniente per l’azionamento dell’otturatore e la messa a segno delle palle su bersagli nei circa 8” attribuiti ad Oswald. Come giustamente nota Vero Vagnozzi, ai fini della prestazione, è assolutamente ininfluente l’eventuale scomodità di caricamento dell’arma a causa del supporto dell’ottica, in quanto il caricamento dell’arma da parte di Oswald non rientra nei tempi di calcolo previsti per la sua prestazione di tiro. Scomodo o no, Oswald aveva tutto il tempo di inserire il caricatore con le cartucce prima dell’attentato. Vagnozzi ed io abbiamo sempre azionato l’otturatore prendendo il pomello nel palmo della mano, sia per tirare indietro e scaricare il bossolo sia spingendo di nuovo avanti per caricare la nuova cartuccia. E’ sconsigliabile prendere il pomello con pollice e indice, perché la mano non esercita una spinta uniforme. Aggiunge ancora Vagnozzi: “Vorrei contestare la capacità del tiratore di Terni, che ha impiegato ben 19 secondi per i tre colpi e addirittura 5 secondi per il primo colpo. Nelle nostre prove di tiro videofilmate in una cava, abbiamo visto che con un Sako 6,5 ad otturatore girevole-scorrevole dotato di ottica 4x, senza appoggio, ho centrato tre volte in 8 secondi una pozza d’acqua posta a 200 metri, dall’altezza di 50 metri. Ed io non sono un cecchino! Mi è capitato di colpire a 40/50 metri con carabina un cinghiale, che non segue un percorso prevedibile e si sposta disordinatamente, cambia repentinamente percorso e direzione al primo rumore o al primo abbaiare di cani. Eppure è possibile prenderlo. Non vedo perché Oswald, che stava su un palazzo a 18 metri (io ho visitato Dealey Plaza) non abbia potuto sparare a un bersaglio che andava un po’ più forte del passo d’uomo, in moto uniforme e soprattutto noto e prevedibile, mentre l’animale può cambiare direzione in ogni attimo. La strada obbligata di Kennedy era quella ed era più facile sparare sul bersaglio in allontanamento rettilineo uniforme, ad una distanza tra i 40 e gli 80 metri dalla bocca dell’arma. Per quanto riguarda l’ottica, maggiore è l’ingrandimento e minore e più ristretto è il campo visivo. A caccia si deve avere la possibilità di vedere tutto l’animale con un 4x. Con un 6x si vede più ravvicinato, ma meno chiaramente nella sua interezza. La classica lente da caccia o da cecchino è la 4x o la 6x. Oswald aveva una 4x. Se si aumenta l’ingrandimento, anche a 20x, il bersaglio in movimento si perde, non si colpisce più”. “La cartuccia 6,5 Carcano - sostiene l’esperto forense Enrico Manieri - non è però in grado di abbattere animali di taglia molto grossa, al massimo cervi e caprioli…. L’uso del mirino telescopico, secondo me, non deve destare alcuna perplessità, se si parla di 3-4 X, perché è sicuramente un ottimo compromesso di precisione di puntamento e di osservazione del comportamento del bersaglio… Da una delle fotografie del fucile prese dall’alto e riportate nel Rapporto Warren, si vede chiaramente che il cannocchiale è disassato a sinistra rispetto all’asse della canna. Ciò è dovuto al sistema di caricamento del Carcano e al posizionamento della manopola dell’otturatore… Nel caso delle prove di Terni, mi pare di ricordare che si parlasse di una cannocchiale posizionato molto alto, per consentire il caricamento dell’arma: se così fosse, si tratta di un fattore molto importante che differenzia le prove fatte dalle condizioni reali dell’attentato. Un cannocchiale molto alto comporta un posizionamento innaturale rispetto alla spalla e all’occhio che deve mirare traguardando l’ottica. Ciò, a mio parere, introduce un ritardo non indifferente nell’acquisizione istintiva della linea di mira, con difficoltà operativa di ricaricare continuando a seguire il bersaglio tramite l’ottica”. 5) Ansa. Il colonnello
Micheli dichiara: “Il fucile di Oswald ha numero di matricola C2766.
Contrariamente a quello in uso in altri eserciti del mondo questa matricola non
è riportata sulla culatta ma è immatricolata sulla canna. E’ strano, perché la
canna è una parte di ricambio. Quando viene cambiata la canna non si rimette la
stessa matricola, ma si cambia numero”.
“La
matricola impressa sulla canna non è inusuale – afferma il perito balistico
Vero Vagnozzi – Non mi pare che nella storia di quest’arma sia stato così
frequente il cambio di canna e di relativa matricola da montare sullo stesso
castello ligneo”. Non comprendo a cosa voglia portare l’insinuazione del
colonnello Micheli. La matricola è segnata sulla canna: e allora? Dov’è il
mistero? Micheli vuol forse insinuare che il fucile di Oswald C2766 non sia lo
stesso Mannlicher Càrcano 6,5 91/38 C2766 esportato dall’Italia negli Stati
Uniti e acquistato poi da Oswald? Il colonnello ha forse prove di
falsificazione della matricola o dell’arma? Potrebbe comunicarcele? Se si
tratta solo di sospetti e di ipotesi buttati lì, lasciano il tempo che trovano
e non hanno nessuna correlazione col delitto di Dallas. “In merito all’unicità
dell’arma – mi scrive l’esperto forense Enrico Manieri - bisogna
distinguere: se si intende per unicità dell’arma il fatto che abbia una
matricola univoca, questo dato è del tutto inconsistente, perché la matricola
può essere impressa o alterata in modo del tutto indipendente sia nel tempo che
nello spazio. Se per unicità si intende univocità di tracce lasciate sui
proiettili, allora si deve contemplare il binomio arma+munizione: al variare
della munizione, la stessa arma può lasciare tracce diverse e, a parità di arma
e munizione, si hanno tracce diverse nel tempo, fra uno sparo e l’altro, a meno
che i test, come accadde per il fucile ritrovato a Dallas, non siano fatti nel
periodo immediatamente successivo all’evento criminoso. L’arma di Oswald del
1940 non è stata ritubata, è nata calibro 6,5 e non era in origine una 7,35.
Era nella produzione standard del ’91 calibro 6,5”. 6) Ansa. Claudio Accogli
dell’Ansa chiede al Ten. Col. Riso: La Commissione Warren ha stabilito che
Oswald avrebbe portato quest’arma smontata nel deposito di libri, il luogo da
cui avrebbe sparato per uccidere Kennedy. Cosa ne pensa? Riso: Questo è poco probabile in quanto l’ottica è
montata in modo artigianale e l’azzeramento deve essere fatto preventivamente
al poligono. Qui
è evidente che Riso ha frainteso la domanda di Accogli: Riso crede giustamente
impossibile che l’ottica già tarata e fissata con le viti sia stata smontata
per il trasporto e rimontata da Oswald sul posto (solo alcune ottiche con
attacco a “coda di rondine” permettono di essere smontate e rimontate
agevolmente). Ma nessuno ha mai affermato questo. Come dice Vero Vagnozzi, “per
ridurre l’ingombro l’arma poteva essere smontata separando tutto il blocco
metallico (compresa quindi la canna con sopra già fissata l’ottica) dai
fornimenti lignei, ai quali è assicurato da fascette e viti”. Le foto della
Commissione Warren del fucile smontato fanno appunto vedere la canna -
comprensiva dell’ottica già montata - separata dalla cassa lignea. In una prova
da me videofilmata presso l’armeria Maxarmi di Roma, il titolare, Signor
Massimiliano Burri, ha impiegato 2’20” per togliere da un sacco di carta un
Mannlicher Càrcano 6,5 smontato e rimontarlo completamente con l’aiuto di un
piccolo cacciavite. Stante la stretta fessura delle viti dell’arma, esse
possono essere avvitate anche con una monetina (cents) dal bordo limato. In merito alla taratura
dell’ottica, così mi scrive l’esperto forense Enrico Manieri da Brescia:
“Segnalo che la taratura dell’ottica avviene con l’arma ad una certa
temperatura, per cui, sparando a freddo, è del tutto possibile che il colpo
vada fuori bersaglio: è uno dei motivi che potrebbe aver fatto fallire il primo
colpo di Oswald. In una gara, per esempio, normalmente il fattore termico è
importante ed i tiri utili vengono preceduti da colpi di riscaldamento che
hanno anche il compito di portare ‘in temperatura’ la canna. Il fucile deve
essere pensato come una macchina termo-balistica a tutti gli effetti”. 7) Ansa. Accogli chiede al
Ten. Col. Riso: Possiamo provare
anche la conclusione dell’HSCA (1978) che stabilì che forse in Dealey Plaza i
tiratori erano più di uno? Possiamo provare questa ipotesi? Ten.
Col. Riso: Adesso noi proveremo con due test fatti con bersagli in
plastilina a 80 e 30 metri… Come si può vedere i bersagli non simulano la testa
di una persona, sono fatti in plastilina, si può vedere a 80 metri solo
l’effetto di cavitazione. Il colpo cioè passa attraverso la plastilina e il
foro si ostruisce, proprio a causa dell’effetto idrodinamico del fenomeno… Vediamo i tre bersagli in plastilina. Il primo è
stato sparato a una distanza di 80 metri e gli altri due a 30 metri con una
velocità del proiettile alla bocca dell’arma di 640 metri/sec il primo e 660
metri/sec gli altri due. Questo è il proiettile 6,5 originale Cercano e
quest’altro invece è un proiettile originale Cercano a frammentazione. Questo è
il proiettile deformato dopo aver colpito il bersaglio a 80 metri… In base ad una poi smentita analisi acustica di un nastro fortuitamente registrato dal microfono di una moto di scorta della polizia, l’HSCA nel 1978 stabilì (ma sembra che Accogli non ne abbia informato Riso) che, dalla distanza di circa trenta metri e da posizione fronto-laterale destra rispetto all’auto (in pratica dall’alto della scarpata erbosa detta “grassy knoll”), un quarto colpo sia stato sparato contro la limousine presidenziale. L’HSCA precisò però che, in base alle sue analisi, questo quarto colpo non attinse nessuno e nulla nella Dealey Plaza: mancò cioè l’auto, i suoi occupanti, gli spettatori e qualunque altra struttura della piazza (da appena 30 metri! Una vera schiappa di tiratore per l’omicidio dell’uomo più importante del mondo!). In pratica, Kennedy e Connally, per l’HSCA, furono colpiti solo dagli spari di Oswald. Premesso che nulla può sostituire in un test il cranio di un essere umano vivo colpito da proiettili (la Commissione Warren si avvicinò alla complessità e alla consistenza del cranio umano sparando alla testa di una capra viva), l’esperimento su plastilina di Riso prova ciò che non è mai stato ignoto: ossia che a 80 metri (la distanza tra il fucile di Oswald e l’occipite di Kennedy al terzo colpo) la palla full metal jacket calibro 6,5 produce un “effetto cavitario” trapassando il cranio. Non solo questo passaggio attraverso ossa e tessuti cerebrali può provocare una forte pressione interna con conseguente esplosione della teca cranica, ma vi è spruzzo di materia cerebrale, ossea e sanguigna sia in avanti, dal foro di uscita, sia indietro, dal foro d’ingresso, prodotto dall’effetto detto “cono di Mach”. Non si comprende dunque cosa dovrebbe dimostrare, relativamente alle ferite riscontrate e descritte sul cranio di Kennedy in sede di autopsia, l’ “ostruzione del foro” nella plastilina proposta da Riso. Il Tenente Colonnello (che ad una mia prima domanda ha negato di essere un perito balistico, affermando invece in un secondo tempo di esserlo da quindici anni) mostra poi un “proiettile 6,5 originale Càrcano” senza specificare il fabbricante e l’anno di produzione della munizione. Ad una mia domanda in proposito rivoltagli durante una conversazione telefonica, Riso non ha saputo specificarmi se quel FMJ fosse un prodotto SMI o altro (com’è noto, recentemente la cartuccia del ’91 è stata perfettamente riprodotta dalla ditta Hornady). Riso mostra poi un proiettile a frammentazione, e non si comprende il motivo di tale precisazione, dato che le indagini balistiche e medico-legali escludono che la testa di Kennedy sia stata raggiunta da questo tipo di palla. E’ del tutto ovvio, poi, che un proiettile camiciato 6,5 che raggiunga un cranio umano a 80 metri si deformi, nessuno lo ha mai negato: i periti dell’Fbi ipotizzarono che i due grossi frammenti recuperati nell’auto fossero parte del proiettile fuoriuscito dal cranio di Kennedy e frammentatosi nell’urto con le ossa per poi scheggiare la cornice metallica e la superficie interna del parabrezza dell’auto, che risultarono intaccate. “L’effetto cono di Mach – mi scrive l’esperto forense Enrico Manieri - è specifico dei fenomeni che avvengono a velocità supersoniche: è corretto parlarne per il ‘volo’ del proiettile, non lo è se si analizzano le caratteristiche di balistica terminale (la velocità del suono non è più quella dell’aria, ma quella del mezzo colpito che, essendo un solido, è di gran lunga superiore… Per quanto riguarda gli effetti terminali, quanto descritto è in linea con ciò che ti avevo anticipato, dato che la forma della palla del 6,5 Carcano, la geometria delle masse ed il posizionamento relativo del centro di spinta, del centro di resistenza e del baricentro tendono a favorire il tumbling del proiettile al primo impatto: in pratica, incontrando un ostacolo di una certa consistenza, il proiettile perfora ed inizia a ruotare creando traumi devastanti nei tessuti molli. Oltre a creare traumi diffusi, il tumbling è responsabile di un secondo importante fenomeno terminale: durante i ribaltamenti, il proiettile procede nel suo moto presentando densità sezionali sempre diverse, perché diversa è la proiezione della superficie di impatto al variare della posizione del proiettile stesso. Se l’impatto avviene con una superficie maggiore, come per esempio il corpo cilindrico anziché la punta, questo potrebbe non avere la forza necessaria per perforare localmente l’ostacolo, ma su ostacoli di una certa consistenza, come le ossa del cranio, questo produrrebbe una forza notevole applicata sull’intero elemento, che produce ferite come quelle di uscita della calotta cranica di JFK. In pratica, il proiettile entra producendo un foro che può anche essere di dimensioni minori del calibro effettivo, per il recupero elastico delle ossa, poi inizia a ribaltarsi provocando lo sfacelo dell’encefalo (tenere presente le forze interne di pressione provocate dal principio di Pascal, visto che l’encefalo può essere considerato un fluido ad alta viscosità), quindi impatta, ribaltato, contro l’osso della parte opposta, non riuscendo a perforarlo perché la superficie di impatto è molto estesa (in virtù anche delle deformazioni subite dal proiettile, oltre che da semplici questioni geometriche), ma esercitando una forza premente impulsiva tale da far cedere le giunzioni craniche, oltre a provocare la proiezione di ampie porzioni della scatola cranica in frammenti di grandi dimensioni. In pratica, è un’azione più di sfondamento che di perforazione”. 8) Ansa. Accogli:: Già che ci siamo, possiamo provare anche
la teoria del “magic bullet” [il proiettile che avrebbe attraversato il collo
di Kennedy e il corpo del governatore Connally]? Ten. Col. Riso: Come
possiamo vedere, il proiettile, una volta attraversati i due bersagli di carne,
ha impattato sul giubbotto. L’abbiamo recuperato e possiamo constatare che è
andato di piatto ed è notevolmente deformato. Vuol dire che all’uscita dei due
bersagli, costituiti dai due pezzi di carne messi alla distanza di circa 60 cm,
aveva un’energia sufficiente a consentire la sua deformazione. Il “magic
bullet” non può aver colpito due uomini e rimanere intatto come si vede nel
reperto. Ho chiesto telefonicamente al
Ten. Col. Riso se fosse al corrente che la palla recuperata all’ospedale di
Dallas era deformata lateralmente e non intatta: non lo sapeva. Si era
evidentemente fidato della foto mostratagli da Accogli, che riprende il
proiettile solo nella sua lunghezza, ma non in sezione. Ma non sta qui
l’inaffidabilità di quest’altro test di Riso. Ecco il parere del perito
balistico Vero Vagnozzi di Roma: “I pezzi di carne messi a 40 o a 80 metri non
possono deformare una pallottola del ’91. La deformazione della palla mostrata
nel filmato di Terni si è verificata perché Riso ha messo come bersaglio finale
un giubbotto antiproiettile di kevlar, per cui la deformazione deriva
dall’impatto col kevlar e non dall’attraversamento dei pezzi di muscolo
animale, per il quale sarebbe stata assolutamente impossibile quella
deformazione. Riso, per il recupero della pallottola dopo il passaggio nella
carne, non avrebbe dovuto mettere a fine tragitto un giubbotto antiproiettile,
ma una balla di ovatta o meglio ancora un blocco di gelatina balistica. Avrebbe
ritrovato la palla integra. Essa si deforma anche se ha come destino finale un
blocco di elenchi telefonici, che io uso nelle prove di armi senza recupero di
palla, quando non devo procedere all’identificazione: figuriamoci se non si
deformava finendo su un giubbotto antiproiettile!”. Il secondo colpo sparato da
Oswald attraversò i muscoli del collo e la trachea di Kennedy senza incontrare
ossa, entrò in “effetto tumbling” (cioè iniziando una roteazione per la sua
lunghezza) nella schiena di Connally, impattò lateralmente e spezzò una
costola, uscì completamente rovesciato sotto il capezzolo destro, trapassò il
polso destro e si infilò nella pelle della coscia sinistra. Fu ritrovata su una
barella usata quel giorno al Parkland Hospital. Antonino Cascìno, nella sua
opera sul ’91 (“La penetrazione”, 1897), dice che sparò contro tre cadaveri
umani messi in fila con quel tipo di munizione, alla distanza di cento metri:
furono impattate ossa, ma i cadaveri furono tutti trapassati da un unico
proiettile, recuperato dietro il terzo corpo. Kennedy e Connally erano ad una
distanza dall’arma di circa 58 metri. La portata utile delle munizioni del ’91
è di circa due chilometri e la velocità alla bocca dell’arma è su valori tra i
650 e i 700 metri al secondo. Nel mio libro riporto, alle pagine 436, 441, 444
e 448, i pareri fornitimi dal dottor Martino Farneti, ex Direttore della
Sezione Ricerche Balistiche della Polizia Scientifica Criminalpol di Roma, dal
Generale dell’Esercito italiano Romano Schiavi di Brescia, dal dottor Antonio
Ugolini di Roma e dal dottor Marco Morin di Venezia, periti balistici. “Coloro
che dicono impossibile il duplice ferimento operato da un unico proiettile
perché la sua traiettoria avrebbe dovuto essere a zig zag – aggiunge
Romano Schiavi – barano spudoratamente… Lo schiacciamento del proiettile
è perfettamente compatibile con quella traiettoria… compresa la frantumazione
della costola di Connally… Il fatto di trovare il proiettile nei vestiti o
sulla barella d’ospedale è abbastanza comune”. Ugolini: “Quel tipo di
proiettile può, a certe condizioni, attraversare anche tre o più corpi umani…”.
Farneti: “Se non impattano ossa, quei proiettili possono attraversare anche
due, tre o quattro corpi umani. Se colpiscono ossa, possono trapassarne almeno
due. Comunque sono proiettili di grossa potenza…Non è incompatibile con la
casistica a mia conoscenza che un proiettile possa essere non eccessivamente
deformato. Ci sono casi di proiettili che attraversano corpi senza deformarsi
proprio per aver colpito in senso tangenziale una costa o un osso e perdono
piombo in microframmenti solo dalla parte posteriore, dalla base... Si possono
trovare normalmente casi del genere [ossia una palla appiattita lateralmente
dopo aver attraversato due corpi, N.d.A.]… Un tiratore medio della polizia
italiana resterebbe, per quei tre colpi, negli otto secondi previsti. Un buon
tiratore scelto impiegherebbe cinque secondi per tutti e tre i colpi… Le
capacità di Oswald sono equiparabili ai nostri tiratori scelti, che spesso
fungono anche da istruttori di tiro”.
Morin: “Se in Italia si
prevedeva la possibilità di tiro utile mirato con una cadenza di un colpo ogni circa
tre secondi, appare evidente come Oswald, che era certamente un bravo tiratore,
sia stato in grado di parare nei tempi riscontrati. Egli era anche
notevolmente agevolato dal mirino telescopico… Per il tiratore appostato alla
ormai celebre finestra del deposito di libri il bersaglio era praticamente
fermo… Dalla fotografia della base del proiettile recuperato a Dallas, la
stessa appare elissoidale e con il piombo in parte estruso. Non è una palla intatta”. Michael Baden, patologo forense a capo del team
balistico e medico-legale dell’HSCA nel 1978, ha detto: “Quella palla non era quasi
intatta, come qualcuno sostiene.
Nonostante la pesante camiciatura militare, era deformata lateralmente. Dire palla
quasi intatta è come dire donna un
po’ incinta. O lo è o non lo è”.
Anche questo test dell’Ansa, quindi, non prova assolutamente che i due uomini
non possano essere stati trapassati dal medesimo proiettile poi ritrovato sulla
barella.
9) Ansa. Accogli: L’ultima commissione
d’inchiesta che negli USA indagò sul caso dette peso alle testimonianze di chi
indicava che fra Oswald e Ruby vi fossero legami, ma la Warren Commission,
pochi mesi dopo il delitto, concluse che Oswald era l’unico responsabile
dell’omicidio. La frase di Accogli è a mio avviso volutamente ambigua. E infatti il giornalista non dice che “l’ultima commissione - supponiamo si tratti dell’HSCA – provò che Oswald e Ruby erano in contatto”, cosa che infatti non si verificò, ma dice vagamente che l’HSCA “dette peso alle testimonianze” di chi (chi? I nomi?) indicava che fra Oswald e Ruby vi fossero non meglio precisati “legàmi”. Il sospetto d’obbligo Accogli lo butta lì nell’ultima frase: in pratica questi cattivoni della Commissione Warren avrebbero mentito al mondo sostenendo invece, subito dopo il delitto, che Oswald aveva agito da solo, senza l’aiuto di nessuno. Per il lettore disinformato, queste frasi di Accogli sono a mio avviso dichiarazioni del tutto fuorvianti, perché non esiste alcuna prova che Oswald e Ruby si conoscessero E, a rigore, non sarebbe stato nemmeno necessario che si conoscessero, se fosse stato davvero organizzato un complotto. Ma questo i lettori di Accogli non possono saperlo, se non gli viene detto. 10) Ansa. Accogli: Resta
da chiarire l’aspetto forse più italiano della vicenda. Dice il Rapporto Warren
che il fucile di Dallas era unico al mondo con quel numero di serie. Una prova
fornita dal Sifar, nel marzo 1964. Una prova decisiva, che non solo legava
l’arma alla trafila dell’acquisto per posta, e dunque ad Oswald, ma in qualche
modo certificava le evidenze balistiche. Se il fucile era unico al mondo, solo
quello poteva produrre i frammenti trovati nella limousine. Ma il documento del
Sifar, in lingua originale, non è mai apparso. Passati 43 anni, è lecito
chiedersi se sia mai stato prodotto. Dopo lunghe ricerche abbiamo trovato
questo. E’ del dicembre 1963. Il ministro della Difesa in carica Andreotti
ordina al misterioso Depatron Service un rapporto sul fucile. Segue la
traduzione. Ogni arma normalmente reca il numero di serie, dice il testo. Le
foto mostrano un’arma diversa, un 7,35. L’estensore del documento raccomanda di
passare copia al Servizio Segreto e all’FBI. Chi scrive è infatti il Capo della
CIA di Roma, Daniel M. Presland, ovvero William K. Harvey, capo dell’Executive
Action, il comitato ristrettissimo della CIA incaricato di condurre i piani per
assassinare i Capi di Stato stranieri, tra cui Lumumba e Castro. Harvey era
stato rimosso da JFK nel giugno 1963. Il Presidente aveva infatti imposto un
cambio radicale nella politica estera e nelle operazioni segrete, soprattutto
verso Cuba, con cui si profilava una fase di avvicinamento. Poche settimane
dopo la sua morte, il 4 dicembre, il presidente in carica Johnson si dimostrava
ansioso di avviare azioni più positive nel faccia a faccia con Cuba.E fra le
azioni positive previste dal nuovo corso c’è un ritorno al passato: l’invasione
militare. Ho lasciato per ultima questa
sezione dell’”inchiesta” di Accogli perché è a mio avviso un tipico esempio di
giornalismo sensazionalistico costruito a tavolino: il brano merita di essere
scomposto nelle sue affermazioni, perché solo così si può notare quanto esso
abbia tutte le caratteristiche tipiche dello scoop estivo e della vera disinformazione, che non si basa
mai su cose totalmente inventate, ma va invece costruita manipolando elementi
di sicuro riscontro e di provata veridicità. E’ quella che i giornalisti
americani chiamano news management,
la manipolazione della notizia: a) Dice il Rapporto Warren che il fucile di Dallas era
unico al mondo con quel numero di serie.
La “storia” di quel fucile è stata ricostruita fin dall’uscita dall’Arsenale
militare di Terni. A meno di non ipotizzare un falso, non potevano esistere due
Mannlicher Càrcano ‘91/38 calibro 6,5 con numero di matricola C2766, quella
rigatura, quel percussore, quelle certificazioni di controllo e revisione in
Italia e in Usa che avevano lasciato molte tracce documentarie. La corretta
analisi balistica comparativa fatta subito dopo il delitto provò che solo
quell’arma poteva averli sparati quel giorno. b) Una prova fornita dal Sifar, nel marzo 1964. Una
prova decisiva, che non solo legava l’arma alla trafila dell’acquisto per
posta, e dunque ad Oswald, ma in qualche modo certificava le evidenze
balistiche. Se il fucile era unico al mondo, solo quello poteva produrre i
frammenti trovati nella limousine.
Ecco il secondo sospetto buttato lì, che appaga la dietrologia dell’opinione
pubblica verso gli “intrighi del Potere”. Una prova “fornita dal Sifar”! Gatta
ci cova, puzza di bruciato per forza. Ed era pure una “prova decisiva”!
Attento, probi cittadini! Vogliono turlupinarvi: forse c’è il Sifar d’accordo
con la CIA dietro il viaggio del fucile da Terni alle mani di Oswald… c) Ma il documento del Sifar, in lingua originale, non
è mai apparso. Passati 43 anni, è lecito chiedersi se sia mai stato prodotto.
Dopo lunghe ricerche abbiamo trovato questo. E’ del dicembre 1963. Il ministro
della Difesa in carica Andreotti ordina al misterioso Depatron Service un
rapporto sul fucile. Segue la traduzione. Ogni arma normalmente reca il numero
di serie, dice il testo. Le foto mostrano un’arma diversa, un 7,35.Che significa “in lingua originale”? Che nella
traduzione inglese resa pubblica Accogli ha trovato delle discrepanze con
quella originale italiana? E’ questo che Accogli insinua? Se il documento
italiano non è stato forse mai reso noto (Accogli a questo punto strizza
l’occhio al pubblico), forse c’era qualcosa che non doveva essere reso
pubblico, mai conosciuto da noi comuni mortali, dal popolo onesto. Ma noi non ci
facciamo fregare, dice Accogli: carta canta! “Dopo lunghe ricerche” (dove? In
Internet? Sui documenti della Warren?) noi sì che siamo riusciti a scovare ciò
che i cattivoni del Sifar e della CIA non volevano farci conoscere! Addirittura
Andreotti “ordina” agli americani un rapporto sul fucile… Ma non basta: il
fucile fotografato è un 7,35. Chi lo prova? Mistero. Come si fa a distinguere
ad occhio un 91/38 6,5 da un 7,35? Mistero. Ma intanto la mente del pubblico
galoppa e Accogli fornisce altri sospetti infondati: “Anvédi – come
dicono a Roma – il Sifar, Andreotti, la CIA… Ma non è che, niente niente,
dietro la morte del povero presidente tanto caruccio ci sono i soliti
mascalzoni? I soliti burattinai?”. d) L’estensore del documento raccomanda di passare copia
al Servizio Segreto e all’FBI. Chi scrive è infatti il Capo della CIA di Roma,
Daniel M. Presland, ovvero William K. Harvey, capo dell’Executive Action, il
comitato ristrettissimo della CIA incaricato di condurre i piani per
assassinare i Capi di Stato stranieri, tra cui Lumumba e Castro. Harvey era
stato rimosso da JFK nel giugno 1963.
Ancora misteri, uomini nell’ombra, sigle inquietanti: il Secret Service, la
CIA, l’agente segreto col nome falso defenestrato da Kennedy e perciò ansioso
di vendetta (sta a vedere che è stato lui…), l’Executive Action assassina,
Castro, Lumumba… Il fatto è che Accogli gode a gettare lì questi intrecci del
tutto casuali e non significativi, ma che apparentemente sembrano segnalare una
traccia, un filo conduttore, un sospetto sui soliti e misteriosi “servizi
deviati”, che non hanno mai nomi e volti. Un complotto che si rispetti è senza
volti e senza nomi, e soprattutto senza prove: sennò, che complotto sarebbe?
Non dubito che sarò anch’io sospettato da qualche idiota di essere sul libro
paga della CIA… e) Il Presidente aveva infatti imposto un cambio
radicale nella politica estera e nelle operazioni segrete, soprattutto verso
Cuba, con cui si profilava una fase di avvicinamento. Poche settimane dopo la
sua morte, il 4 dicembre, il presidente in carica Johnson si dimostrava ansioso
di avviare azioni più positive nel faccia a faccia con Cuba. E fra le azioni
positive previste dal nuovo corso c’è un ritorno al passato: l’invasione
militare. Quanto dice qui Accogli è a
mio avviso errato: il “Presidente Buono” che vuole la pace e il “cattivo”
Johnson (che deve la poltrona presidenziale ai suoi amici della CIA) pronto ad
invadere Cuba. Dire che questa sia una distorsione della Storia credo sia un
eufemismo. John Kennedy (e più di lui il suo alter ego, il fratello Bob)
mantenne aperte nel 1963 entrambe le opzioni nei confronti di Cuba: con una
mano cercava contatti informali con Castro (vedi viaggio del giornalista Jean
Daniel), con l’altra autorizzava la CIA ad aggiornare i piani per l’invasione
militare di Cuba in caso di necessità e non fermava i preparativi dell’Agenzia
per “eliminare” il dittatore cubano. Questa ambiguità continuò fino al giorno
della sua morte. Recenti documenti (si veda ad esempio il volume Ultimate
Sacrifice) inducono a pensare che
l’opzione dell’invasione sia stata sempre tenuta in evidenza da Kennedy. Al
contrario, Johnson, sempre più impelagato nella guerra del Vietnam e timoroso
che Castro fosse il mandante di Dallas, congelò qualunque progetto di invasione
di Cuba. “Gestivamo una maledetta Omicidi S.p.A. laggiù nei Carabi”, disse al
giornalista Leo Janos nel 1972 (Atlantic Monthly, July 1973). Ecco alcuni pareri in proposito:
“Johnson non aveva voglia d’iniziare la sua presidenza e di presentarsi alle
elezioni rilanciando la crisi cubana… Helms della CIA scoprì che a Johnson
mancava l’impegno emotivo di Kennedy per un’azione clandestina contro Castro.
Il nuovo presidente ordinò alla CIA di interrompere il programma di sabotaggio…
Desmond Fitzgerald della CIA disse ai suoi agenti nel 1964: Se Jack Kennedy
non fosse morto posso assicurarvi che entro lo scorso Natale ci saremmo
sbarazzati di Castro” (Michael R.
Beschloss, The Crisis Years, N.Y.,
Harper&Row, 1991, trad. it. Roberta Rambelli, Guerra Fredda. Kennedy e
Krusciov: Cuba, la crisi dei missili, il Muro di Berlino, Milano, Mondatori-Le Scie, 1991, p. 697); “Le
manovre anticastriste cessarono nell’aprile 1964, per ordine diretto di Lyndon
Johnson, che le considerava nient’altro che una dannosa Società Omicidi dei
Carabi” (Marco Valle, Storia Illustrata, n. 2, ott. 1995, p. 48); “La CIA consiglia l’attacco a Castro, ma
Johnson non vuole la seconda invasione” (Mauro Calamandrei, L’Espresso, 24 maggio 1964, p. 4); “Lyndon Johnson non è un
ammiratore cieco della CIA e degli altri enti del governo invisibile. Quando Sargent Shriver fu scelto a dirigere i
Volontari della Pace, Johnson gli disse di guardarsi dai tre C: Commies, Cuties and CIA (Comunisti, omosessuali e
CIA)” (Mauro Calamandrei, L’Espresso,
9 agosto 1964, p. 9); “Johnson, dal momento in cui prese possesso dello Studio
Ovale, temette che Castro tentasse ritorsioni contro di lui e i suoi familiari
e ordinò perciò di fermare qualunque attività dei servizi segreti americani
contro il leader cubano: il suo
assistente speciale, Joseph A. Califano, è un testimone diretto di questi
avvenimenti”, mio libro, p. 256 (fonti alle note 567 e 568, p. 534). Sarei
grato a Claudio Accogli se volesse fornirmi le fonti sulle quali basa le sue
affermazioni.
DIEGO
VERDEGIGLIO
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