Come
sono diventato "investigatore dell'occulto"
Come si diventa “investigatori dell’occulto”? Bisogna forse
far parte di qualche strana congrega o avere avuto esperienze misteriose durante
l’infanzia? Sinceramente non saprei. Credo che per ognuno la strada sia
differente. Io posso solo parlare per me.
Come tutti gli adolescenti, anch’io a quell’età ero affascinato
dal mondo dell’occulto e del paranormale e dalle incredibili potenzialità che
esso sembrava offrire. Immaginavo che con l’esercizio e con la pratica
anch’io, se avessi voluto, avrei potuto leggere il pensiero o muovere
gli oggetti con la forza della mente. Ma qui occorre fare un passo indietro
perché, prima di appassionarmi al mondo del paranormale, ero stato ammaliato
da quella che è “solamente” una magnifica arte: l’illusionismo.
Come ho raccontato nella biografia che ho scritto sul grande Houdini, avevo
cinque anni quando vidi per la prima volta il film Houdini il mago, con Tony
Curtis, e rimasi assolutamente affascinato dalle imprese ai limiti dell’impossibile
del protagonista. Da quel momento decisi che avrei dovuto
sapere tutto sui giochi di prestigio e cominciai a raccogliere, e a farmi regalare,
tutto quello che si poteva trovare sull’argomento. Che non era granché:
pochi libri e qualche scatola di giochi di prestigio. Poi, un giorno, su un
libro trovai gli indirizzi di alcuni “negozi” americani per prestigiatori
(qualcosa di cui fino ad allora non avevo nemmeno immaginato l’esistenza)
e scrissi loro immediatamente. Ricevetti cataloghi di giochi e di pubblicazioni
specializzate e da lì il mio interesse si fece sempre più profondo.
Al punto che misi insieme una serie di piccoli numeri (in cui figurava naturalmente
anche un’evasione alla Houdini) e cominciai a esibirmi ai compleanni
dei miei compagni di scuola, prima, e sui palcoscenici dei teatrini locali
poi. Ma ero ancora un bambino e, per quanto non mi sarebbe dispiaciuto intraprendere
la carriera del prestigiatore, mi rendevo conto che le cose che sapevo fare
io potevano essere sì sorprendenti ma non avevano niente a che vedere
con quei fenomeni veramente “magici” che si vedevano ogni tanto
in televisione.
Ricordo che un pomeriggio vidi un film, Il tocco della medusa, in cui il protagonista,
Richard Burton, utilizzava i poteri della mente per creare disastri e uccidere
i nemici. Ma al di là del film, che capivo essere solo finzione, rimasi
impressionato da un breve segmento documentaristico, in cui si vedevano “autentici” sensitivi
muovere piccoli oggetti e spaccare lastre di vetro con il pensiero. Tra costoro
c’era anche la russa Nina Kulagina. Ricordo che guardavo quel film insieme
a mio papà e gli manifestai subito il mio stupore per quegli strabilianti
poteri. Lui, però, si mostrò dubbioso e mi disse di non fidarmi
troppo di quello che vedevo in televisione: la sua opinione era che, per quanto
suggestive, queste cose probabilmente non erano vere.
Vissi per qualche tempo un periodo di confusione: da una parte la televisione
mi diceva che questi fenomeni erano assolutamente autentici e dimostrati dalla
scienza e, dall’altra, un’autorità per me importante come
mio padre mi diceva che forse non era così. Ma come poteva non essere
così: avevo ancora negli occhi le esibizioni televisive di quel sensitivo
che piegava i cucchiai come fossero stati di burro… Come si chiamava?
Ah, sì: Uri Geller. Avevo anche letto la sua autobiografia e mi era
sembrato sincero. E poi tutti, in Tv, sui giornali o nei libri che parlavano
di questi argomenti, dicevano che queste cose erano vere: come potevano sbagliarsi?
Era possibile che un libro contenesse notizie e informazioni che non corrispondevano
al vero? E mio papà era davvero l’unico ad avere dei dubbi?
Piero Angela e James Randi
Un bel giorno, ero ancora un adolescente, entrai in una libreria
per la mia ormai solita ricerca di testi sul paranormale e mi trovai
tra le mani il libro
di un giornalista che stimavo tanto, Piero Angela. Con mia sorpresa il libro,
che si intitolava Viaggio nel mondo del paranormale, parlava di parapsicologia
e prometteva di esaminare tutti i più importanti fenomeni paranormali,
compresi quelli di Geller. La cosa che mi fece decidere di investire i miei
risparmi in quel libro, piuttosto che in un testo sulle profezie di Nostradamus,
fu il fatto che vi si diceva che la preoccupazione di Angela era stata quella
di “non farsi prendere in giro”.
“Non è partendo da errori, suggestioni o imbrogli”, diceva
la quarta di copertina, “che è possibile muoversi alla ricerca di
nuove dimensioni o di nuove teorie scientifiche. Questa indagine sulla parapsicologia
intende fornire un materiale prezioso a tutti coloro che si interessano ai
fenomeni paranormali e che desiderano documentarsi seriamente sulle ricerche
in corso nel mondo, senza cercare semplicemente un’evasione nel magico.
Questo, infatti, non è un libro per chi vuol credere, ma per chi vuol
capire”. Perfetto! Esattamente quello che cercavo.
E fu effettivamente così. Quel libro mi aprì davvero un nuovo
mondo: per la prima volta mi fece ragionare nel modo giusto su certi argomenti,
capii tante cose che prima mi sembravano inspiegabili e soprattutto scoprii
che non bisogna credere a qualcosa o dubitarne solo sulla base dell’istinto
o della dichiarazione di una qualche autorità, ma che prima di tutto
bisogna valutare tutte le prove e che bisogna farlo in maniera critica, cioè senza
cadere preda della suggestione, del desiderio di credere o dell’inganno.
Persi un mito, Uri Geller, ma trovai un nuovo eroe: James Randi. Angela aveva
dedicato numerose pagine a raccontare le indagini e le scoperte di questo
novello Houdini. Quell’uomo non era un millantatore, ma era veramente un tipo
sensazionale: dopo una carriera come illusionista specializzato in evasioni
e fughe alla Houdini, come il suo maestro si era dedicato a sbugiardare i ciarlatani
del paranormale. Ecco, mi dissi, l’illusionismo è un’arte
bellissima e continuerò a studiarla, ma quello che voglio fare veramente è essere
come Houdini e come Randi. Voglio conoscere tutti i segreti e gli imbrogli
dei ciarlatani per poterli poi smascherare e chissà mai che lungo la
strada, prima o poi, non mi imbatta in qualche fenomeno veramente inspiegabile.
Erano un po’ sogni da ragazzino e probabilmente se anch’io li avessi
considerati così lo sarebbero rimasti per davvero. Invece ci credevo
e volevo fare tutto il possibile perché si realizzassero. Nel libro
di Angela avevo trovato un indirizzo, era dello Csicop, il Comitato americano
per l’indagine scientifica del presunto paranormale. Mi iscrissi immediatamente
e mi abbonai alla loro rivista, The Skeptical Inquirer. Fortunatamente conoscevo
bene l’inglese: non tanto perché lo avessi studiato a scuola quanto,
soprattutto, perché lo avevo imparato cantando e suonando le canzoni
dei Beatles.
Randi era stato uno dei fondatori dello CSICOP così gli scrissi a
quell’indirizzo,
manifestandogli tutta la mia ammirazione e chiedendogli delle informazioni
su Uri Geller (di cui ancora mi incuriosiva il misterioso trucco del piegamento
dei cucchiaini). Non che mi aspettassi veramente una risposta, figuriamoci:
una celebrità americana che risponde alla lettera di un ragazzino
italiano di provincia! Però, se non si prova non si saprà mai
quello che può succedere. Già che c’ero, qualche giorno
dopo scrissi anche a Piero Angela, presso la Rai, per complimentarmi del
suo libro e per
chiedergli cosa ne pensava dell’idea di creare anche in Italia un Comitato
come quello americano.
Era estate e me ne andai in vacanza con i miei, dimenticandomi delle lettere.
Quando tornai ebbi la più bella sorpresa che potessi immaginare. Ad
aspettarmi c’erano due lettere: una da parte di James Randi, l’altra
da Piero Angela!
Entrambi mi facevano i complimenti per il mio interesse precoce per questi
argomenti e per il mio spirito critico ed entrambi accennavano a qualcosa
di molto interessante: sì, c’era la concreta possibilità di
creare un comitato di scettici anche Italia. Angela ci aveva provato una decina
d’anni prima, quando aveva realizzato la sua fortunata serie sulla parapsicologia,
ma non era riuscito a concretizzare i buoni propositi di tutti gli studiosi
e scienziati che avevano aderito all’idea. Ora ci voleva provare di nuovo
e stava organizzando un incontro a Torino con tutti gli abbonati italiani allo
Skeptical Inquirer, per vedere se ne sarebbe potuto nascere qualcosa di buono.
Randi mi diceva che sarebbe venuto in Italia proprio per aiutare Angela, di
cui era amico, a fondare questo comitato e che non vedeva l’ora di incontrarmi.
Infatti, aggiunse, aveva recuperato qualche libro su Geller che mi voleva portare
in quell’occasione!
Non ci potevo credere: un attimo prima ero un sognatore e poco dopo queste
persone che ammiravo così tanto si rivolgevano a me come se fossi uno
di loro.
Aspettai con trepidazione il giorno dell’incontro fissato per un giorno
di ottobre del 1988 in un ristorante di Torino. Angela mi riconobbe subito
appena entrai nel ristorante, forse perché ero il più giovane
tra i presenti. Emozionatissimo, lo ascoltai mentre mi spiegava le sue idee
sul futuro comitato degli scettici. Poi mi disse che Randi non sarebbe potuto
venire perché era in ospedale, dove aveva subito un’operazione:
niente di grave, ma per qualche tempo non poteva muoversi. Mi rincuorò dicendomi
che sarebbe sicuramente venuto nel giro di un mese a un nuovo incontro.
Quel giorno a Torino si posero le basi per la futura nascita del Cicap. In
quell’occasione conobbi anche Lorenzo Montali che, su incarico di Angela,
era stato negli Stati Uniti presso lo Csicop per capire come realizzare qualcosa
di simile anche in Italia. Anche se non lo dimostrava, era addirittura più giovane
di me di qualche mese; diventammo subito amici e, vista la poca distanza che
ci separava, presi a raggiungerlo ogni mattina a Milano, per lavorare all’organizzazione
del neonato Comitato. Finalmente, arrivò anche il giorno della visita
di Randi in Italia. Mi portai dietro una copia del suo libro, The Truth about
Uri Geller, che speravo di riuscire a farmi autografare, e una copia delle
lettere che mi aveva scritto: giusto per fargli capire chi ero. Non ce ne fu
bisogno: appena mi avvicinai, Angela mi presentò e Randi mi strinse
la mano con un gran sorriso. Prese dalla valigetta dei libri che mi aveva portato
e ci mettemmo a chiacchierare di sedute spiritiche e delle illusioni di David
Copperfield.
Le mie aspettative non erano state deluse: Randi era proprio dinamico e affascinante
come appariva nei suoi libri e nelle imprese che Angela raccontava di lui
nel suo libro sulla parapsicologia. Al termine della riunione mi resi conto
che
la possibilità di parlare ancora con quella miniera di aneddoti e di
avventure stava rapidamente svanendo e che presto l’avrei dovuto salutare.
Il giorno dopo doveva essere a Roma con Angela per partecipare ad alcune trasmissioni
televisive e poi sarebbe tornato negli Stati Uniti. Chissà quando avrei
potuto rivederlo.
Come si dice: la fortuna aiuta gli audaci, e fu proprio così. Mi feci
coraggio e timidamente dissi a Randi che mi sarebbe piaciuto molto accompagnarli
a Roma l’indomani. Sia Randi che Angela furono felici dell’idea
e subito mi invitarono a unirmi a loro.
Ero sbalordito: il mattino dopo ero su un aereo per Roma, seduto tra Piero
Angela e James Randi. Trascorsi tre giorni bellissimi: li accompagnai agli
studi della Rai, vidi come si realizzavano le trasmissioni Tv; feci da complice
a Randi per realizzare una particolare illusione; lo accompagnai a trovare
Silvan (ed ebbi così l’occasione di conoscere un altro eroe della
mia infanzia); gli feci milioni di domande, ricevendo sempre risposte esaurienti
e competenti... L’ultima sera andammo a casa di Angela, dove la moglie
preparò una cena a cui prese parte anche Roberto Vacca. Quando gli ospiti
se ne furono andati, Angela e Randi si allontanarono per qualche minuto, mentre
io restai in compagnia di Alberto ad ammirare la sua collezione di reperti
fossili.
Dopo una mezz’oretta, Angela mi chiamò e mi disse: “Sai,
avevo chiesto a Randi di osservarti durante questi giorni; mi sembri un ragazzo
in gamba e volevo capire se può valere la pena occuparsi di te e aiutarti.
Randi mi ha detto che ti sei dimostrato particolarmente sveglio e che gli hai
mostrato di saper ragionare”. Adesso mi spiegavo tutti quegli enigmi
e quei rompicapo che Randi mi aveva proposto in quei giorni. “La nostra
proposta è questa” continuò Angela, “vorresti andare
negli Stati Uniti con Randi, per essere suo allievo e imparare tutto quello
che c’è da sapere nell’indagine dei fenomeni paranormali?
Oh, naturalmente sponsorizzerei io il viaggio e le spese… Guarda che
non si tratta di un regalo, ma di un investimento. Sono convinto, infatti,
che i soldi non si investono solamente in banca ma anche sulle persone che
lo meritano e che hanno le potenzialità per fare qualcosa di importante.
Allora, accetti?”.
Era come se fosse spuntato fuori il genio della lampada e mi avesse chiesto: “Ti
piacerebbe che i tuoi sogni diventassero realtà?”. Indovinate
quale fu la mia risposta…
Alla ricerca di fenomeni paranormali
Il mio apprendistato con Randi cominciò immediatamente nel modo più intenso
possibile. Nei primi sette giorni che passai con lui visitammo la Germania,
l’Austria, la Francia e l’Inghilterra: per partecipare a un convegno,
per visitare alcuni luoghi misteriosi (come Stonehenge e il cimitero di Père-Lachaise),
per effettuare alcune riprese per lo speciale televisivo a cui Randi stava
lavorando in quel periodo.
Fu proprio grazie a quella trasmissione che ebbi modo di confrontarmi con
la metodologia per la verifica dei presunti fenomeni paranormali.
Il programma si intitolava Exploring Psychic Powers Live! (Esplorando i
fenomeni paranormali dal vivo) e il 7 giugno 1989 sarebbe stato trasmesso
in diretta,
da Los Angeles, rivolto a mezzo mondo (oltre agli Stati Uniti fu visto
in Europa, Italia compresa, in Australia, in Canada e nell’America
del Sud).
Alcuni mesi prima, in America era iniziata sui giornali un’insistente
campagna pubblicitaria in cui si annunciava la ricerca di persone dotate di
facoltà paranormali: se fossero riuscite a dimostrare i loro poteri
nel corso della trasmissione di Randi, in condizioni di controllo, avrebbero
vinto centomila dollari ciascuna.
Quando arrivammo a Los Angeles era già stata fatta la selezione e i
partecipanti erano stati ridotti a dodici. La commissione che avrebbe valutato
le dimostrazioni dei sensitivi comprendeva Stanley Krippner, allora presidente
della Parapsychological Association e Ray Hyman, professore di psicologia e
tra i più competenti esperti critici di parapsicologia.
Il primo a essere esaminato fu un astrologo, Joseph Meriwether, il quale
affermava di poter indovinare il segno zodiacale di una persona se aveva
la possibilità di
parlarle per qualche minuto. Gli fu così data la possibilità di
intervistare separatamente dodici persone, ciascuna appartenente a un diverso
segno zodiacale: naturalmente, Meriwether non poteva fare domande circa la
loro data di nascita e fu chiesto a tutti i soggetti di togliersi eventuali
oggetti (ciondoli per catenine, distintivi, anelli…) che potessero far
intuire quale fosse il loro segno. Nello studio televisivo erano stati preparati
dodici grandi cartelli rappresentanti i dodici segni e, durante la trasmissione,
ciascun partecipante fu fatto sedere dall’astrologo sotto quello che
riteneva essere il loro segno. Se Meriwether avesse indovinato il segno di
almeno dieci persone si sarebbe portato a casa centomila dollari. Quando però fu
chiesto ai partecipanti che non si trovavano seduti in corrispondenza del proprio
segno astrologico di alzarsi, si vide che Meriwether, che pochi istanti prima
si mostrava convinto di avere già l’assegno in tasca, non aveva
indovinato nulla: tutte e dodici le persone si alzarono.
Subito dopo fu la volta di Barbara Martin, un’esperta di “lettura
dell’aura”, convinta di poter vedere l’aura colorata delle
persone. Per testare quest’affermazione era stato escogitato un esperimento
molto ingegnoso: poiché la Martin sosteneva che l’aura si estendeva
a un’altezza di circa dieci centimetri dal corpo, alcune persone furono
posizionate dietro ad altrettanti schermi di legno, alti quanto loro. In tal
modo, non sarebbe stato possibile vedere le persone ma sarebbe stato possibile,
per la Martin, vedere l’aura che spuntava da dietro gli schermi. A questo
punto, per rendere l’esperimento probante, mentre la Martin si trovava
in un’altra stanza fu tirato a sorte il numero di persone che dovevano
nascondersi dietro agli schermi, che in tutto erano dieci: compito della sensitiva,
a quel punto, era quello di osservare gli schermi, vedere da dove spuntava
l’aura e dire quindi dietro quale schermo si nascondeva una persona.
Tirando a indovinare, avrebbe dovuto indovinare almeno in cinque casi:
perché si
potesse parlare di una dimostrazione paranormale doveva indovinarne almeno
otto. La Martin si concentrò e, lentamente, disse che vedeva auree spuntare
dietro ciascuno schermo: in altre parole, secondo lei c’erano dieci persone
nascoste dietro i dieci schermi. Furono fatte uscire le persone e si vide che
ce n’erano solo quattro: un risultato, quindi, inferiore a quello che
si sarebbe potuto ottenere per caso.
Toccò quindi al rabdomante Forrest Bayes, il quale dichiarò che
poteva trovare l’acqua anche quando questa si trovava chiusa in contenitori
di plastica, a loro volta chiusi dentro scatole di cartone. Gli furono così presentate
venti scatole: solo alcune, però, contenevano le bottiglie con l’acqua,
altre contenevano solo sabbia. Bayes si avvicinò a ciascuna scatola
e per ciascuna diede il suo responso: otto scatole, secondo lui, contenevano
l’acqua. In realtà, le bottiglie erano solo cinque.
Un altro esperimento riguardava le affermazioni di Sharon McLaren-Straz,
una veggente esperta di psicometria: in questo tipo di dimostrazioni il
sensitivo tiene in mano un oggetto ed esprime le sensazioni che da esso
gli derivano,
cercando di descriverne il proprietario. Per evitare che la sensitiva producesse
dichiarazioni ambigue, con le conseguenti difficoltà di valutazione
dei risultati, le fu proposta una prova che lei prontamente accettò.
Si trattava di abbinare, per almeno nove volte su dodici, un orologio a un
mazzo di chiavi appartenente alla stessa persona. La Straz riuscì a
realizzare solamente due abbinamenti corretti.
Per tutto il tempo della trasmissione, inoltre, si svolse un classico test
di percezione extrasensoriale: una sensitiva, Valerie Swan, sedette a un
tavolo cercando di indovinare l’identità delle carte Zener
(quelle con i famosi simboli: cerchio, croce, onde, quadrato e stella)
su cui uno sperimentatore
si concentrava. Nel corso di due ore le fu presentato il dorso di 250 carte:
per vincere il premio, e dimostrare così di possedere reali facoltà Esp,
era sufficiente che indovinasse l’identità di almeno 82 carte.
Tirando a caso ne avrebbe dovute indovinare 50. Ebbene, quante ne indovinò?
Esattamente 50: non una di più non una di meno. Una perfetta conferma
della legge della probabilità!
Non mancò il colpo di scena. A pochi giorni di distanza dalla trasmissione,
i produttori del programma rivelarono a Randi che era stato invitato come ospite
anche Uri Geller! Se avesse accettato di sottoporre al controllo i suoi presunti
poteri, come tutti gli altri sensitivi del programma, non ci sarebbe stato
niente di male: ma Geller pretendeva di partecipare unicamente per promuovere
sé stesso, senza dover dimostrare niente a nessuno. Randi per poco non
lasciò il programma e accettò di rimanere solamente a condizione
che, nel corso della trasmissione, gli fosse permesso di ripetere una per una
tutte le dimostrazioni di Geller, in modo da mostrare al pubblico che chiunque,
volendo, poteva fare le stesse cose.
E così fu: Geller piegava chiavi, muoveva l’ago di una bussola
e faceva germogliare semi di ravanello? Randi rispondeva colpo su colpo, ripetendo
le stesse cose nelle stesse condizioni. Per il gran finale, però, Geller
preannunciava che avrebbe sorpreso tutto il mondo. Randi, che la sapeva lunga,
non si fece prendere alla sprovvista e arrivò preparato al momento della
verità.
Geller annunciò che con i suoi poteri paranormali avrebbe aggiustato
gli orologi e gli elettrodomestici rotti dei telespettatori, i quali avrebbero
potuto annunciare il fenomeno telefonando (a pagamento!) in trasmissione. Le
telefonate di un paio di persone a cui era ripartito l’orologio furono
mandate in onda e Geller sfidò Randi a spiegare il fenomeno. Randi sorrise
e chiese alla regia di mandare in onda una registrazione. In quel filmato si
vedeva “un giovane sensitivo italiano” che durante una trasmissione
radio, registrata alcuni giorni prima a Phoenix, nell’Arizona, riceveva
telefonate da parte di persone che avevano visto i propri orologi ripartire.
Il “sensitivo” in questione ero io e, come vedremo in seguito,
gli orologi non si erano aggiustati per un reale intervento paranormale ma
per un normalissimo processo fisico.
Insomma, nel giro di pochi mesi mi trovai a confrontarmi faccia a faccia
con il mio idolo, ormai decaduto, e al fianco di un autentico eroe della
ragione
come Randi. Finì che Geller, dietro le quinte, mi fece i complimenti
per come ero riuscito a piegare un cucchiaino (complimenti che ricambiai
e che lui accettò) e mi promise che un giorno ci saremmo seduti
a un tavolo a chiacchierare da buoni amici. La mia buona impressione, però,
si trasformò non appena venni a sapere come si era comportato realmente
in quei giorni e del modo in cui aveva tramato per rovinare la carriera
e la reputazione di Randi.
Di Geller ebbi notizie solo qualche anno dopo, quando mi fece sapere dai
suoi avvocati che mi avrebbe portato in tribunale (come aveva fatto anche
con Randi,
perdendo la causa) se non avessi cessato di esprimere la mia opinione critica
sulle sue dimostrazioni. Davvero un buon amico…
Nonostante le minacce sue e di altri, né io né il Cicap abbiamo
mai smesso di dire quello che pensiamo circa le affermazioni pseudoscientifiche
di personaggi che non si preoccupano di giocare con i sentimenti, con la salute
e con la vita di coloro che si rivolgono a loro pieni di speranze che saranno
tristemente, e inevitabilmente, deluse.
Quei giorni rappresentarono la mia iniziazione all’indagine scientifica
del presunto paranormale: ce ne furono poi tanti altri che passai negli
Stati Uniti lavorando con Randi; quindi, ancora alcuni anni in Italia per
far crescere
il Cicap mentre, nel frattempo, mi laureavo in psicologia. E, durante tutto
quel tempo, dozzine di indagini e sperimentazioni condotte, per la maggior
parte, in coppia con quello che sarebbe diventato non solo un prezioso
collaboratore e uno degli amici più cari, ma l’unico e inseparabile “compagno
di mille avventure”, come si dice nei romanzi: Luigi
Garlaschelli.
Massimo Polidoro
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