Come è nato il mio ultimo libro: “Marta che aspetta l’alba”

Ecco finalmente il testo della bella recensione-intervista che racconta la nascita del mio libro Marta che aspetta l’alba realizzata da Alessandro Mezzena Lona su Il piccolo del 28 luglio scorso. La presentazione del libro a Trieste è prevista per il 15 ottobre, vi terrò aggiornati. Intanto, buona lettura…

Marta che aspetta l'alba, Edizioni Piemme 2011, pp. 196, Euro 14,50.

La storia di Mariuccia che attraversò l’inferno negli anni di Basaglia

Di lavoro faceva la magliaia. Di psichiatria, malattie mentali, di quelli che allora venivano chiamati matti, lei non sapeva proprio niente. Poi un giorno, spinta dal bisogno di lavorare, Mariuccia Giacomini si è trovata faccia a faccia con uno degli inferni legalizzati del Ventesimo secolo: il manicomio di San Giovanni, a Trieste. E lì, in mezzo a creature senza più diritti umani, isolate come se il loro malstare fosse contagioso, irrecuperabile, chiuse dentro le camicie di forza, sottoposte a pratiche barbare come l’elettroshock e la lobotomia, ha iniziato ad aprire gli occhi. A capire il mondo e se stessa.

Mariuccia Giacomini è stata, per anni, testimone di una delle grandi utopie del secolo breve. Quella che ha portato Franco Basaglia e il suo staff, prima a Gorizia ma soprattutto a Trieste, a spezzare le catene che tenevano imprigionati i matti. Che ha spinto un medico fino ad allora semisconosciuto a sfidare la società, a costringerla ad accettare di nuovo dentro di sé persone che fino ad allora erano esorcizzate come fossero dei mostri. Che ha convinto la giunta provinciale triestina, guidata dal democristiano Michele Zanetti, ad appoggiare senza tentennamenti quel cambiamento epocale che molti notabili del Pci guardavano con diffidenza estrema.

A questa donna, al suo coraggio di vivere senza farsi condizionare da nessuno, alla rivoluzione senza armi e senza violenza che Franco Basaglia portò nel manicomio di San Giovanni, è dedicato un libro che sta a metà tra la testimonianza narrativa e il romanzo biografico. Si intitola “Marta che aspetta l’alba”, l’ha scritto Massimo Polidoro, lo pubblica la casa editrice Piemme (pagg. 187, euro 14.50). Una grande passione per la scrittura, fin da quando era bambino, Massimo Polidoro ha esordito nell’editoria negli anni Novanta. «Allora mi interessavo soprattutto del mondo del mistero – spiega -. Di quello che viene chiamato paranormale. Con Piero Angela, altri scienziati, giornalisti e divulgatori, avevamo creato il Cicap che si proponeva di smascherare tutti i fenomeni apparentemente inspiegabili. Che in realtà, quasi sempre, nascondono truffe, imbrogli». Docente per alcuni anni di Metodo scientifico e psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca, Polidoro ha iniziato pian piano ad avvicinarsi ad altri temi. «Ho scritto libri su gialli della storia, banditi e poliziotti che hanno dato loro la caccia. Ma ho recuperato dalla memoria dimenticata anche la storia di un istituto per bambini che, in realtà, era una sorta di lager. Nel libro “Eravamo solo bambini”, infatti ho recuperato dal silenzio le vicende raggelanti dell’Istituto Santa Rita di Grottaferrata guidato da un ex suora, Maria Diletta Pagliuca. Ripetute violenze, ragazzini legati con le catene. Ecco, il libro l’ho scritto quando stavo già raccogliendo materiale per “Marta che aspetta l’alba”».

Dopo la storia dell’inferno di Grottaferrata, Polidoro ha voluto concentrarsi sulla piccola grande rivoluzione che ha spazzato via dalla faccia dell’Italia altri lager: i manicomi. «Da tempo – dice – cercavo un modo per raccontare quel cambiamento epocale che Franco Basaglia ha portato all’interno del manicomio di Trieste. E non solo lì, ovviamente. Perché, poi, tutto il mondo in qualche maniera è stato influenzato da quell’esperienza. Però non volevo scrivere l’ennesima biografia. Cercavo la storia di una persona che avesse vissuto sulla propria pelle la rivoluzione basagliana. Che fosse entrata in contatto con le idee dello psichiatra da profana, senza conoscerlo prima».

Quell’idea è arrivata da “Muri”, lo spettacolo di Renato Sarti passato anche sul palcoscenico del Mittelfest a Cividale. Un testo in cui l’autore, attore e regista triestino ha voluto raccontare il manicomio di Trieste “Prima e dopo Basaglia”, come recita il sottotitolo, attraverso gli occhi di una donna. «Ecco, proprio in quella pièce – dice Massimo Polidoro – ho scoperto per la prima volta la figura di Mariuccia Giacomini. Ed è stato immediato il desiderio di conoscerla, di parlarle. Di ascoltare dalla sua voce il racconto di una vita difficile e straordinaria. Ecco, proprio questo mi serviva per il libro che avevo in testa».

Non si può raccontare una storia vera se non si rispettano fino in fondo i suoi punti cardinali. E Massimo Polidoro, per non tradire Mariuccia Giacomini, s’è fatto ripetere più volte le tappe salienti della sua vita. «Ci siamo incontrati spesso. Abbiamo dialogato anche al telefono. E ogni volta cercavo di approfondire un aspetto piuttosto di un altro, questo o quel dettaglio che mi poteva servire durante la fase della scrittura del libro. Poi, ovviamente, nel corso della stesura si sono aggiunti tutti quei dettagli che ho raccolto da tante letture e testimonianze sugli anni di Basaglia. Ma anche su com’era prima il manicomio di Trieste. Quando ancora era inimmaginabile che i cancelli di San Giovanni potessero rimanere aperti. Che ai matti venisse data la possibilità di uscire nel parco e dal parco».

Ma come ha reagito Mariuccia Giacomini all’idea di vedere la propria vita trasformarsi in un racconto, seppure molto circostanziato? In un libro messo assieme dalla fantasia di uno scrittore? «Credo che fosse preparata -ammette Massimo Polidoro -, In fondo era già stata al centro dello spettacolo di Sarti. La gente lo aveva visto, ne aveva parlato. Certo, una pièce teatrale è qualcosa che trasmette emozioni immediate. Mentre un libro filtra pur sempre la storia attraverso la mente di un altro, di chi la scrive. Però Mariuccia era entusiasta del progetto. Ha partecipato subito, ha letto il testo. Insomma, mi è stata di grande aiuto».

Per mettere a fuoco l’immagine nitida di com’era il manicomio prima e dopo Basaglia, Polidoro si è servito di tante testimonianze. «Mi hanno aiutato medici e infermieri, gente che ci aveva lavorato dentro a lungo. Ma anche sul sito del Dipartimento di salute mentale c’è tanto materiale prezioso. Non solo testimonianze scritte, ma anche immagini, filmati in cui si vedono le persone, si sentono le voci. Solo così mi è stato possibile raccontare l’ospedale psichiatrico come se io, in quegli anni, fossi stato davvero presente». Una sola storia è inventata. «Quella di Marta, la ragazza internata in manicomio senza essere matta – confessa Polidoro -. In realtà, inventato è solo il personaggio di Marta Alberti, che non esiste ma assomma in sé tante vicende che ho sentito raccontare. Da persone realmente rinchiuse nell’ospedale psichiatrico di San Giovanni».

Alessandro Mezzena Lona

(Il Piccolo, 28 luglio 2011)

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