Umberto Eco: l’uomo che sapeva scatenare la curiosità

Di figure come quella di Umberto Eco ne nascono pochissime in un secolo. Per questo tutti i giornali del mondo hanno dedicato la prima pagina alla notizia della sua scomparsa.

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Pensare a Eco, sentirlo parlare o leggere i suoi scritti sono esperienze che hanno il potere di scatenare la curiosità. Ecco perché una figura come la sua ci mancherà tantissimo.

Ho avuto la fortuna di conoscere Eco, prima solo attraverso i suoi libri e poi anche di persona. Se dal suo lavoro traspariva l’incredibile erudizione e la meticolosa ricerca che accompagnava ogni opera, dal vivo a spiccare era il suo spirito arguto, il piacere del calembour, la straordinaria ironia e, in generale, la capacità di trasmettere la gioia della conoscenza.

Ascoltandolo si capiva che un intellettuale non necessariamente era un polveroso signore che viveva nella sua torre d’avorio, ma poteva anche essere qualcuno che studiando non solo riusciva a divertirsi ma sapeva divertire anche gli altri.

Come ha scritto Alessandro Baricco: «Insegnò che il sapere non era solo un dovere, ma anche un piacere».

È lo spirito che anima tutti i grandi divulgatori, in fondo. Ezio Mauro vede questa forza all’opera, per esempio, proprio nel suo romanzo più celebre, Il nome della rosa, forse il primo esempio di megaseller planetario.

La scommessa, dice Mauro, è quella «di non cedere alla banalizzazione del sapere» ma nello stesso tempo nella «capacità di costruirsi lettori, accendendo una passione, portandosela dietro fino a scoprire l’eresia estrema, una risata come movente di un delitto».

Per questo, quando si passava del tempo insieme a lui, sulla carta o con l’uomo in carne e ossa, la prima sensazione – e parlo ovviamente per me – era quella di sentirsi profondamente ignoranti. Ci si rendeva cioè conto di quanto poco si sapesse di fronte alla vastità della conoscenza che, là fuori, attende solo di essere appresa.

Ma era solo un attimo, perché subito dopo prevaleva la spinta a conoscere: il desiderio di scoprire, approfondire e capire le meraviglie di cui Eco parlava. Anche perché Eco non saliva mai in cattedra ma sapeva mettere a suo agio l’ascoltatore con il suo disarmante senso dell’umorismo.

Stava qui, almeno per me, la sua grandezza: non solo nella sua meravigliosa capacità di nutrire di conoscenze le menti di chi lo ascoltava, ma soprattutto in quella di incuriosirli al punto da spingerli a mettersi in strada da soli a cercare per conto proprio analoghe fonti di stupore.

Figuratevi come posso essermi sentito felice quando Eco non solo ha accettato di contribuire ad alcuni libri da me curati, ma addirittura mi ha più volte citato nella Bustina di Minerva che curava su l’Espresso e, addirittura, ha parlato del mio lavoro nella lectio magistralis che ha tenuto lo scorso giugno a Torino in occasione di una laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Torino.

Rimasi come abbagliato quando, al primo incontro con il CICAP, Eco ci accompagnò per un giro nella biblioteca della sua casa di Piazza Castello, a Milano. Si attraversava un lungo corridoio tappezzato di libri e si giungeva nel gigantesco studio, con i libri che arrivavano al soffitto, pieno di tavoli e scrivanie separati da tramezzi bianchi colmi di volumi, suddivisi per tematiche.

Umberto Eco

Ma quella di cui lui andava più orgoglioso era la stanza delle rarità. Lungo il corridoio, si apriva una porta, rigorosamente chiusa a chiave, dove erano conservati in un ambiente dalla temperatura e umidità controllate, tesori librari di inestimabile valore. Eco ci mostrò qualche rarissimo incunabolo quattrocentesco mettendosi poi a ridere.

«Vedete» disse «se collezionassi quadri del Rinascimento o porcellane cinesi potrei tenerli in soggiorno e tutti i visitatori ne rimarrebbero estasiati. Ma il bibliofilo non sa mai a chi mostrare i propri tesori: i non bibliofili vi gettano un’occhiata distratta, mentre i bibliofili o manifestano sintomi d’invidia (lo vorrebbero anche loro quel libro) o di disprezzo (pensano cioè di avere cose ben più rare o di tutt’altro genere)».

Anche per questo, forse, Eco teneva sotto chiave quei libri. Quelli se li poteva gustare solo lui. Erano altri i tesori che amava condividere con i suoi lettori, suscitando in tutti curiosità, interrogativi e delizia infinita. Erano i tesori del sapere.

Quel sapere che ora ci vede orfani di un cercatore sublime come Umberto Eco e che, d’ora in avanti, dovremo andarci a stanare da soli per il mondo.

Peccato non avere il suo talento.

P.S. Nei prossimi giorni il CICAP dedicherà uno speciale a Umberto Eco e al suo sempre appassionato sostegno alle iniziative del Comitato. Nel frattempo, vi ripropongo di seguito una puntata del podcast in cui si è conversato con lui di scienza, pseudoscienza e complotti:

Se non riuscite ad ascoltarlo su questa pagina, potete scaricare l’episodio da iTunes.


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Massimo Polidoro

Scrittore, giornalista e Segretario del CICAP, è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di oltre 40 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e altre testate. Rivelazioni e Il tesoro di Leonardo sono i suoi libri più recenti, mentre Il passato è una bestia feroce è il primo thriller di una nuova serie. Si può seguire Massimo Polidoro anche su FacebookTwitter, PeriscopeGoogle+, Instagram e attraverso la sua newsletter (che dà diritto a omaggi ed esclusive).


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3 risposte

  1. Ciao Massimo. Ho avuto il piacere e l’onore di conoscere il professor Eco in un momento delicato della sua vita. Abbiamo parlato di libri, di figli, di nipoti, di viaggi e…mi sono sentita onorata quando stavo leggendo il tuo libro e…allo stesso momento lo stava leggendo anche lui. Così ogni volta che ci incontravamo ci scambiavamo opinioni. Che grande uomo!!! Mi mancherà molto e lo ricorderò per sempre.

    1. Grazie Elena per il tuo gentile ricordo. Che bello sapere che Eco scambiava opinioni su un mio libro! Sarebbe bello se anche altri che lo hanno conosciuto o incontrato condividessero qui i loro ricordi.

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