«Da che mondo è mondo ogni civiltà umana, ad ogni latitudine, si è posta la domanda di che cosa succeda dopo la morte. Uscita definitiva? Transito verso un’esistenza diversa? Un’attesa? Il ritorno ad un luogo originario?
«Esiste una risposta a queste domande? Massimo Polidoro (esperto di psicologia dell’insolito) e Marco Vannini, noto studioso di mistica, hanno dialogato a lungo sull’argomento. Il risultato è racchiuso nelle 240 pagine del loro Indagine sulla vita eterna (Mondadori).
«Indagine è una parola appropriata. I due autori ripercorrono e si potrebbe dire illuminano alcune delle principali credenze che si sono succedute da quando i faraoni egiziani erano certi di traghettare, dopo il trapasso, in una condizione parallela; evocano le oscurità dell’Ade, regno greco-romano delle ombre in qualche modo ripreso anche da Dante nel viaggio della Commedia – fatte salve ovviamente le varianti apportate dal cristianesimo. Nell’ebraismo un’idea di eternità dell’anima non esiste.
«L’anima è un concetto platonico diffusosi, in Occidente, con la cultura ellenistica. Al massimo si può parlare di una specie di limbo, sorta di sala d’attesa della finale resurrezione per le correnti ebraiche, per esempio i farisei, che la contemplavano. Il repertorio è vasto, la trattazione limpida. In una successiva parte del libro gli autori si concentrano su un repertorio altrettanto vasto: quello dei fenomeni detti paranormali a proposito dei quali sembrano giungere a conclusioni diverse.
«Polidoro afferma che quei fenomeni non si sono mai verificati in condizioni che ne permettessero un sufficiente controllo. Per Vannini, i limiti della scienza sono troppo angusti e fluttuanti per stabilire che cosa sia la “normalità” e, quindi, ciò che in questa normalità rientri. L’ampia e suggestiva escursione porta gli autori (e chi legge) alle conclusioni.
«Per Polidoro la vita può essere vissuta con dignità e consapevolezza morale anche in assenza di una qualunque aspettativa al di là della soglia fatale. Vannini, sfoderando l’unghiata del mistico, nega che il problema possa essere affrontato in termini di angusta razionalità, afferma che “la vita eterna non è una vita speciale, con fatti eccezionali, bensì la vita quotidiana, presente – in quell’estasi del quotidiano ove tutte le cose, immerse nella luce dell’eterno, sono infinitamente belle”».
Queste le parole di Corrado Augias che, lo scorso 6 giugno, ha così recensito su la Repubblica il libro che ho scritto con il filosofo Marco Vannini. Come la pensi io lo spiego ampiamente nel libro e Augias lo anticipa qui sopra.
E voi, che cosa ne pensate? E’ possibile vivere la propria vita con dignità, onestà e rispetto per gli altri senza immaginare un aldilà che elargisca premi o punizioni?
Massimo Polidoro
Scrittore, giornalista e Segretario del CICAP, è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di oltre 40 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e altre testate. Rivelazioni e Il tesoro di Leonardo sono i suoi libri più recenti. Si può seguire Massimo Polidoro anche su Facebook, Twitter, Google+ e attraverso la sua newsletter (che da diritto a omaggi ed esclusive).
10 risposte
Sto scoprendo , attraverso letture , le domande filosofiche che hanno determinato la cultura occidentale.
Ma il vero mistero della vita è ben più difficile da capire per la mente dell’uomo.
L’uomo ha molte possibilità creative per affrontare le proprie angosce più profonde.
Io credo nella vita dopo la morte, quella che rimane agli altri …la vita abbraccia tutto .
Perché è un continuo ricrearsi : non c’è nascita, senza morte.
Questo è quello che credo …e dal punto di vista spirituale mi basta.
Quindi quello che conta è vivere con dignità , perchè lasciamo un’eredità culturale alle future generazioni.
ritengo ci siano 3 risposte possibili, vincolate da 3 tipi principali di categorie di persone, con o senza religione:
categoria 1) chi ha rispetto del prossimo, sempre a prescindere dalla situazione (per quanto è possibile e umano fare, ovviamente);
categoria 2) chi ha rispetto del prossimo, ma in base a chi e alla circostanza e se fa comodo..con idee un pò confuse insomma;
categoria 3) chi non non è interessato rispettare il prossimo: le persone sono solo strumentali per i propri scopi e interessi, senza dignità da rispettare;
per la categoria1, non credo sia necessaria alcuna morale o remora o punizione divina per restare sulla retta via: ci si resta volentieri perchè è insito nella propria indole, a prescindere.
per la categoria2, talvolta, in base alle situazioni, oscillando tra il bene ed il male, potrebbero avere necessità di un limite, un giudice, un riferimento che in casi estremi, faccia da contenimento riportando il buonsenso.
per la categoria3, forse neanche la manifesta e ineccepibile presenza di Dio potrebbe riportare il buonsenso e il rispetto..
pertanto, per molti che oscillano tra il rispetto e l’egoismo, avere piena-coscienza che ci aspetta una punizione o l’eterna perdizione, potrebbe essere la bussola, il riferimento per recuperare un pò di rispetto e benevolenza… anche se fosse 1 su 100 sarebbe già un successo sociale, no?
“La tesi che la prospettiva di una vita eterna, per quanto puerili e consolative, allievino il confronto con la morte non sembra trovare riscontro nell’esperienza.” ? ? ? Caro Mauro, forse non Ti ho capito, salvo per la richiesta di studi scientifici ( Randomizzati e in doppio cieco e pubblicati su Riviste con Impact Factor superiore a 30, I suppose). Anche perché, scusami se Te lo dico, non sembra preoccuparTi gran che il fatto di non essere capito bene. Certo, se hai esperienza solo di Italiani secredenti Cattolici delle Regioni i cui abitanti sono affetti da livelli alti di colesterolo e trigliceridi, puoi non aver visto un miglior confronto con la Morte rispetto ai sedichiaranti Atei. E allora fatti, visto che appartieni a una Categoria di persone secredente istruita, una Qultura (rigorosamente con la Q) che comprenda, ad esempio, gli Sciiti, visto che parli di Cristianesimo e di Islam come Religioni sincretiche col Platonismo; (chissà perché, poi, l’ Ebraismo non è sincretico per Te, visto che le Tre succitate Religioni hanno in comune l’ 80% circa dell’ Antico Testamento). Che caspita vorrai poi dire? Boh, mi auguro che anche questa Tua opinione sia supportata da studi scientifici randomizzati e in doppio cieco.
http://www.islamshia.org/item/832-i-riti-di-lutto-ayatullah-makarem-shirazi.html
Devo aggiornare il link sul Funerale Islamico, l’ altro non ha retto alla prova del tempo.
https://baytalislam.wordpress.com/category/il-funerale-islamico/
Tralasciando i problemi che nascono dal quesito e sono insolubili come il concetto dell’ esistenza stessa, direi che vivere la vita con dignità resta l’ obiettivo primario. Ma è alquanto difficile se non si possiede una buona padronanza del proprio cervello.
Resta una riflessione. Se accettiamo tranquillamente un inizio, sia del tempo o per meglio dire dello spaziotempo assoluto, che del nostro tempo, perché non ne dovremmo accettare una fine? E ancora, l’esistenza che ne sta nel mezzo in ultima analisi, a chi o a che cosa serve? Ma forse quest’ultima domanda è solo una speculazione della nostra mente limitata…
La tesi che la prospettiva di una vita eterna, per quanto puerili e consolative, allievino il confronto con la morte non sembra trovare riscontro nell’esperienza. Limitandoci alla sola osservazione dei riti funebri officiati secondo le religioni del libro sincretiche con il platonismo (cristianesimo e islam), non sembra rilevare una maggior conforto per chi sopravvive alla dipartita del caro estinto. Tuttavia sarebbe interessante conoscere se sono stati condotti studi scientifici su tale argomento e, nel caso, conoscerne i risultati.
Domanda interessante, Mauro. Anch’io sono interessato a eventuali studi di questo tipo. Se qualcuno che ci legge ne è a conoscenza, ci faccia sapere. Grazie.
Ma certo. Anzi, proprio perchè sono convinto che la nostra esistenza si esaurisca qui, trovo maggiori motivazioni per un comportamento onesto, corretto nei confronti degli altri uomini e mi spinge ad operare per migliorare la vita mia, della mia famiglia, della mia comunità e di tutti coloro che verranno dopo di me.
Non vedo perché no.
Dignità, onestà, rispetto per gli altri a mio parere sono fondamentali per ottenere quella “tranquilla felicità” che l’empatia porta. La prevaricazione di chi ci sta attorno e l’egoismo a lungo andare portano all’impoverimento dei rapporti sociali, che sono fondamentali per l’uomo.
Anzi, vorrei aggiungere che “comportarsi bene” solo in vista di un premio o della mancanza di punizioni un domani, può lasciare comunque spazio alla frustrazione.
Assolutamente, certamente sì. Ne faccio un discorso però propriamente di vantaggio evolutivo, prima che morale. Il nostro buon comportamento va a vantaggio della specie, mentre quello negativo va contro la specie.
L’Uomo ha conquistato il pianeta e se vuole sopravvivere DEVE adattarsi ad essere migliore.