“Interstellar”: quanto è realistica l’ibernazione?

Nell’ultimo, spettacolare film di fantascienza di Christopher Nolan, Interstellar, si ripropone una delle soluzioni “classiche” per il viaggio interstellare: l’ibernazione.

Si tratta di una soluzione resa necessaria dalle distanze incredibili che occorre percorrere nello spazio. Ma quanto è plausibile?

Interstellare (film che non a tutti è piaciuto, come al caro amico Paolo Attivissimo o all’astronomo Phil Plait, i quali hanno giustamente rilevato diversi problemi teorici e pratici, mentre ad altri invece, come al sottoscritto, è piaciuta la storia e il modo in cui è stata raccontata), ripropone la classica soluzione dei viaggi interstellari già vista altre volte in film quali 2001: Odissea nello spazioAlienPrometheus: l’ibernazione.

Le distanze da percorrere nello spazio, infatti, sono incredibilmente grandi. L’unico luogo al di fuori della Terra dove l’uomo è finora riuscito a sbarcare è la Luna, il satellite che ci orbita attorno a “soli” 384.400 chilometri di distanza media. Il primo pianeta più vicino a noi, Marte, si trova a una media di ben 250 milioni di chilometri. Ciò significa che sarebbero necessari almeno nove mesi di viaggio per raggiungerlo con un’astronave dalla Terra e altri nove per tornare a casa. Un anno e mezzo di solo viaggio per visitare quello che è il pianeta più vicino a noi.

Per Saturno ci vogliono due anni a tratta e figuratevi quanto tempo è necessario solo per uscire dal Sistema Solare. Di conseguenza, ecco che una soluzione immaginata almeno dalla fantascienza è quella di tenere l’equipaggio in “letargo” per il tempo necessario a compiere il viaggio per poi risvegliarlo automaticamente a destinazione. Quanto è però realistico con le conoscenze attuali?

Il grande scrittore e divulgatore scientifico Isaac Asimov aveva studiato a lungo il problema e questo è quello che aveva da dire: «Il problema di congelare una persona senza provocare danni interni e riportarla poi in vita dopo anni, secoli o millenni, oppure addirittura centinaia di migliaia di anni, è qualcosa di difficilissimo. E non ci sono molte speranze che un problema del genere possa essere risolto, anche perché nessuno sa quanto potrebbe durare un corpo in ibernazione. Inoltre, occorrerebbero apparecchiature capaci di funzionare senza guasti per tempi lunghissimi, per mantenere le condizioni idonee all’ibernazione e per richiamare in vita gli astronauti una volta a destinazione. Non è davvero facile immaginare una cosa del genere».

Per fortuna, Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana che da ieri sera si trova nello spazio, non ha dovuto ricorrere all’ibernazione per entrare nella storia. Congratulazioni Samantha!



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Massimo Polidoro

Scrittore, giornalista e Segretario nazionale del CICAP, è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di oltre 40 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e numerose altre testate. Rivelazioni e Il tesoro di Leonardo sono i suoi libri più recenti. Si può seguire Massimo Polidoro anche su FacebookTwitterGoogle+ e attraverso la sua newsletter (che da diritto a omaggi ed esclusive).


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5 risposte

  1. Carissimo Massimo, sempre un piacere leggere i tuoi blog. Sono anch’io scettico sulla possibilita’ di realizzare un sistema pratico di ibernazione per i viaggi spaziali nei prossimi decenni. In tempi piu’ lontani pero’ la cosa non mi sembra affatto impossibile – premesso che il futuro veda la continuazione del progresso tecnologico e non una caduta in fondamentalismi religiosi e jhad varie… La criopreservazione di cellule e tessuti e’ gia’ una realta’ in biologia. Naturalmente ibernare un’intero organismo e rianimarlo a piacimento e’ un problema infinatamente piu’ complesso. Alcuni organismi pero’ riescono a ibernare con successo in natura. Per esempio nel lago Peipus (forse lo ricorderai dalla tua visita in Estonia qualche anno fa) esiste una specie di rana che va in ibernazione in inverno e si ‘rianima’ in primavera. Il loro ‘segreto’ e’ l’uso di criopreservativi naturali come il glucosio per prevenire i danni del congelamento. In alcune parti del lago, dopo lo scioglimento dei ghiacci e’ possibile vedere le rane che galleggiano inanimate a pancia in su… ‘creepy’ ma davvero interessante da osservare!

  2. Dal titolo del post mi aspettavo, per la verità, un disamina più approfondita dell’ibernazione, anche chiamata “biostasi” o “animazione sospesa”, cmq non è da ritenere così difficile dato che la NASA la sta oggi prendendo seriamente in considerazione per le sue missioni umane verso marte avendo affidato uno studio all’azienda statunitense SpaceWorks mentre un’altra compagnia, tra cui c’è lo scienziato Stephan Wolfram, ritiene sia possibile scientificamente già nei prossimi decenni.

    1. David, ti ringrazio per il contributo. Questo però è un blog, i contributi devono essere snelli e non posso approfondire. Per quello scrivo libri. Quanto al fatto che la Nasa prenda in considerazione l’ibernazione per missioni distanti, mi fa piacere: dovessero riuscirci, sarebbe l’unico modo per esplorare altri pianeti. Tuttavia, i problemi indicati da Asimov, per il momento restano ancora tutti validi.

  3. Ottimo intervento Massimo, sintetico ed esauriente, come sempre. Ps. Noi abbiamo avuto modo di conoscerci personalmente alcuni anni fa in occasione di un tuo intervento al liceo classico di Villacidro in Sardegna. Complimenti per il lavoro che fai.

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