Cunicoli e stanze segrete delle piramidi sono luoghi davvero bui, ma qualcuno è convinto che gli Egizi fossero in grado di illuminarli nientemeno che con la luce elettrica.
Un bassorilievo nel tempio della dea Hathor a Dendera mostra infatti oggetti che alcuni ritengono essere gigantesche lampade a bulbo, con tanto di filamento. Ma è davvero così?

Tuttavia, è possibile verificare l’ipotesi con pochi, semplici calcoli: se si trattasse davvero di una lampada a incandescenza (come le comuni lampadine, ormai uscite di produzione, nel cui interno veniva fatto il vuoto) la copertura di vetro dovrebbe resistere a una fortissima pressione esterna e quindi essere spessa dai 2 ai 3 cm.
Di conseguenza, peserebbe qualcosa come 7 o 8 quintali. E una minima crepa nel vetro la farebbe esplodere come una bomba. Se invece si trattasse di una lampada simile alle odierne alogene, le sue dimensioni fanno dedurre che avrebbe dovuto avere una potenza di oltre 10 milioni di watt. Davvero troppo.

La spiegazione reale, infatti, è ben diversa: si tratta della rappresentazione simbolica della nascita del sole (sotto forma di serpente, perché incarnazione del dio Harsomtu) da un grande fiore di loto.
Il filamento della “lampada” altro non è che il serpente solare, e il bulbo è il fiore: un geroglifico presente in diversi scritti e con un significato noto e ben preciso dal punto di vista grammaticale.
L’errore di chi vede antichi astronauti ed extraterrestri dappertutto è sempre il solito: interpretare con gli occhi di oggi rappresentazioni e simboli che, per essere realmente compresi, vanno invece osservati nel contesto culturale originale.
Massimo Polidoro
Scrittore, giornalista e Segretario del CICAP, è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di oltre 40 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e altre testate. Rivelazioni e Il tesoro di Leonardo sono i suoi libri più recenti. Si può seguire Massimo Polidoro anche su Facebook, Twitter, Google+ e attraverso la sua newsletter (che da diritto a omaggi ed esclusive).
8 risposte
Ricordo quando da ragazzino, alle medie, ero appassionato di libri di Peter Kolosimo. Lui la chiamava “archeologia misteriosa”, mia mamma invece mi ripeteva -e si ostinava a chiamarla- “fantarcheologia”.
Quando le misi sotto gli occhi la foto della pietra di Palenque, per i miei occhi di dodicenne incontrovertibile e inconfutabile prova del fatto che le popolazioni precolombiane avessero astronavi, mi rispose: “vedi Carlo, la fregatura è che se parti da premesse sbagliate puoi arrivare a dimostrare quello che vuoi”. Trenta anni fa fu dura abbandonare la convinzione che “loro” avessero navi stellari e arrendersi e cedere completamente al fascino freddo del metodo scientifico ma credo ne sia valsa la pena. Grazie mamma 🙂
Complimenti davvero a tua mamma, Carlo. Se tutte le mamme fossero come la tua, ci sarebbero davvero pochi creduloni in giro 🙂
Come facevano allora ad illuminarle? Mi sembra che all’interno non ci siano tracce di fumo e mi sembra improbabile che abbiano usato specchi.
Ti ringrazio Massimo, ma le piramidi non erano luoghi di culto che andavano frequentati: erano tombe. Erano invece illuminate mentre venivano costruite, in modo molto ingegnoso. Ecco come la racconta “Focus”:
Per illuminare il luogo in cui lavoravano, gli Egizi utilizzavano un sistema di lastre: queste, proprio come fossero degli specchi, riflettevano i raggi del sole che, debitamente convogliati, illuminavano i locali. Di che materiali erano fatte, visto che gli Egizi non conoscevano la tecnologia per fare gli specchi? Le lastre dovevano essere di materiale ben levigato, per esempio bronzo: infatti nei corredi funebri sono stati trovati parecchi pezzi di bronzo utilizzati come specchi. Diffuse erano anche le lucerne a olio, che venivano rimosse al termine dei lavori.
Non vorrei sbagliare ma mi pare che la prova degli specchi fosse stata fatta e non funzionasse. Fra l’altro avrebbero avuto a disposizione poche ore di luce al giorno.
Perche’ poche?
L’Egitto e’ piu’ vicino di noi all’equatore, e conseguentemente c’e’ una minore variazione stagionale, ma la media su base annua resta sempre la stessa: 12 ore di luce, 12 di buio.
Infatti non mi riferivo alla distanza dall’equatore ma dalle poche ore di sole e quindi di luce utile da poter utilizzare per rifletterla dentro il sito. Di 12 ore di luce quante effettive se ne potevano usare per questo intento? Tolte alba e tramonto, 6-7ore di luce da riflettere? Inoltre non avevano specchi ma (si suppone) lastre battute di rame che ovviamente riflettevano meno di uno specchio tradizionale. Come ho scritto la prova è già stata fatta con scarsi risultati e non è difficile ripeterla in una stanza di casa propria.
Di sicuro non hanno usato generatori elettrici ma francamente la storia degli specchi non è proprio esauriente da parte del CICAP.
e se fosse un modo di rappresentare una effettiva “lampada” usando il “serpente solare” – il quale dà luce! – ?