Leopardi indaga: “Il caso della fantasima”

Il bel film di Mario Martone, Il giovane favoloso, ha il merito di riportare in primo piano la figura di Giacomo Leopardi, sommo poeta italiano ma il cui lavoro, fino a poco tempo fa, era considerato da molti solo un polveroso dovere da sbrigare a scuola e poi dimenticare.

Lo straordinario successo di pubblico che il film sta riscuotendo, invece, dimostra che Leopardi è quasi diventato un’icona pop, come diceva l’altro ieri su laRepubblica Michele Serra. Ma quello che pochi sanno è che, se il CICAP fosse esistito ai suoi tempi, il favoloso Giacomo avrebbe benissimo potuto ricoprirvi il ruolo di presidente.

Nel film, si avverte qui e là lo scetticismo di Leopardi per aruspici e superstizioni varie ma, nelle sue opere, lo spirito critico che caratterizza il CICAP si avverte molto spesso. In particolare, lo si trova in ogni pagina del Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, composto nel 1815 e pubblicato postumo nel 1846, che meriterebbe una rilettura approfondita.

Oggi, però, vorrei riprendere un brano dai Pensieri (il IV), dove Leopardi racconta un’avventura capitata all’amico Antonio Ranieri che sembra quasi un’indagine CICAP:

Questo che segue, non è un pensiero, ma un racconto, ch’io pongo qui per isvagamento del lettore. Un mio amico, anzi compagno della mia vita, Antonio Ranieri, (….) abitava meco nel 1831 in Firenze. Una sera di state, passando per Via buia, trovò in sul canto, presso alla piazza del Duomo, sotto una finestra terrena del palazzo che ora è de’ Riccardi, fermata molta gente, che diceva tutta spaventata: ih, la fantasima! E guardando per la finestra nella stanza, dove non era altro lume che quello che vi batteva dentro da una delle lanterne della città, vide egli stesso come un’ombra di donna, che scagliava le braccia di qua e di là, e nel resto immobile. Ma avendo pel capo altri pensieri, passò oltre, e per quella sera né per tutto il giorno vegnente non si ricordò di quell’incontro.

L’altra sera, alla stessa ora, abbattendosi a ripassare dallo stesso luogo, vi trovò raccolta più moltitudine che la sera innanzi, e udì che ripetevano collo stesso terrore: ih, la fantasima! E riguardando per entro la finestra, rivide quella stessa ombra, che pure, senza fare altro moto, scoteva le braccia. Era la finestra non molto più alta da terra che una statura d’uomo, e uno tra la moltitudine che pareva un birro, disse: s’i’ avessi qualcuno che mi sostenessi ‘n sulle spalle, i’ vi monterei, per guardare che v’è là drento. Al che soggiunse il Ranieri: se voi mi sostenete, monterò io. E dettogli da quello, montate, montò su, ponendogli i piedi in su gli omeri, e trovò presso all’inferriata della finestra, disteso in sulla spalliera di una seggiola, un grembiale nero, che agitato dal vento, faceva quell’apparenza di braccia che si scagliassero; e sopra la seggiola, appoggiata alla medesima spalliera, una rocca da filare, che pareva il capo dell’ombra: la quale rocca il Ranieri presa in mano, mostrò al popolo adunato, che con molto riso si disperse.

A che questa storiella? Per ricreazione, come ho detto, de’ lettori, e inoltre per un sospetto ch’io ho, che ancora possa essere non inutile alla critica storica ed alla filosofia sapere che nel secolo decimonono, nel bel mezzo di Firenze, che è la città più culta d’Italia, e dove il popolo in particolare è più intendente e più civile, si veggono fantasmi, che sono creduti spiriti, e sono rocche da filare. E gli stranieri si tengano qui di sorridere, come fanno volentieri delle cose nostre; perché troppo è noto che nessuna delle tre grandi nazioni che, come dicono i giornali, marchent à la tete de la civilisation, crede agli spiriti meno dell’italiana.

Chissà che cosa avrebbe detto, Giacomo, se avesse saputo che non solo nel secolo decimonono, ma anche nel ventunesimo, e presso le popolazioni più civili, c’è ancora chi vede e crede ai fantasmi. Non parliamo poi di quel che credono ancora oggi gli italiani…

E voi che cosa ne pensate, le idee di Leopardi avrebbero avuto più successo oggi? Credete potrebbe valere la pena per il CICAP recuperare i suoi lavori più “scettici”? E vi vengono in mente altri luminari del passato che avevano dimostrato altrettanta lucidità e senso critico verso superstizioni, luoghi comuni e pregiudizi?

 


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Massimo Polidoro

Scrittore, giornalista e Segretario del CICAP, è stato docente di Metodo scientifico e Psicologia dell’insolito all’Università di Milano-Bicocca. Allievo di James Randi, è Fellow del Center for Skeptical Inquiry (CSI) e autore di oltre 40 libri e centinaia di articoli pubblicati su Focus e altre testate. Rivelazioni e Il tesoro di Leonardo sono i suoi libri più recenti. Si può seguire Massimo Polidoro anche su FacebookTwitterGoogle+ e attraverso la sua newsletter (che da diritto a omaggi ed esclusive).


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2 risposte

  1. Caro Massimo, che dire, ho riscoperto Leopardi qualche anno fa dopo aver letto il libro della meravigliosa Hack “Storia dell’astronomia” e sono rimasto veramente meravigliato. Quando da alunno delle elementari ho imparato a memoria il sabato del villaggio mi ero ritrovato a condividere con lui che il sabato era più bello della domenica (e ne sono tutt’ora convinto) ma alla scuola ovviamente non si erano sognati di farci conoscere il vero genio di questo grande pensatore scettico. D’altronde la Hack non avrebbe affiancato il suo nome a quello di un asino.
    Ciao pino.

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