Addio Jerry: un altro amico se ne va

Jerry Andrus

Se n’è andato un altro amico. Jerry Andrus, mago originalissimo, creatore di illusioni ottiche tridimensionali straordinarie e, soprattutto, un uomo buono, generoso, onesto e semplice come se ne vedevano solo nei film di Frank Capra, un James Stewart dell’illusione, insomma, ci ha lasciati.

Benché non avesse titoli accademici era uno scienziato cognitivo “naturale”, nel senso che capiva instintivamente come funzionava la mente umana e come la si poteva ingannare nelle maniere più sottili.

Amava dire: «Posso ingannarti perchè sei un essere umano. Perchè possiedi una meravigliosa mente umana che funziona esattamente allo stesso modo della mia mente umana. Di solito, quando veniamo ingannati, la mente non ha commesso un errore. E’ semplicemente arrivata alla conclusione sbagliata per una giusta ragione». Nessuna sciocca vanteria nelle sue non comuni abilità, dunque, ma tanta compresione per quelli che sono i normali meccanismi della nostra mente e che possono trarre in inganno chiunque non sia adeguatamente preparato.

E Jerry non si limitava a teorizzare ma ti dimostrava come la mente ti inganna, e lo poteva ripetere di continuo. I maghi, di solito, non rifanno mai due volte lo stesso gioco, perchè l’illusione funziona meglio se lo spettatore non sa che cosa aspettarsi. Eppure, Jerry poteva ripeterti all’infinito i giochi che ti aveva appena fatto e, ogni volta, rimanevi a bocca aperta.

Io l’avevo conosciuto diversi anni fa, quando per qualche anno di seguito ero stato invitato in Oregon, lo Stato in cui Jerry viveva, per tenere un seminario all’interno dello Skeptic’s Toolbox, un workshop di alcuni giorni dedicato all’indagine dell’insolito e organizzato dallo psicologo Ray Hyman all’Università dell’Oregon. Triste a dirsi, anche Barry Beyerstein era sempre presente tra i docenti di quel corso e ora nemmeno lui c’è più.

Avevo passato ore ad ammirare Jerry mentre intrecciava spille da balia, dandomi l’illusione che riuscisse a far loro attraversare la materia solida. Oppure mostrava un foglio di carta con un cerchio disegnato. Arrotolava il foglio e dal cono così ottenuto usciva una palla: il cerchio di prima, insomma, era diventato tridimensionale. Infilava di nuovo la palla nel foglio, lo riapriva e la palla era sparita ma era ridiventato un cerchio.

Quando ero tornato qualche tempo dopo in Oregon, per un giro di conferenze in occasione dell’uscita di un mio libro negli Stati Uniti, lui aveva organizzato per me un incontro dalle sue parti. In attesa di tenere la mia conferenza, Jerry mi aveva invitato a casa sua per un caffè ed ero rimasto assolutamente senza parole. Lui la chiamava la “Fortezza del caos” e credo non esista definizione migliore per descriverla.

Non c’era un centrimetro di spazio libero. La casa era invasa di… cose. Pezzi di metallo, ruote, scatole di cartone, bulloni giganti, dischi ipnotici. Ricordo il pavimento sommerso di cuscinetti a sfera, molle e rotelle di acciaio. I divani assolutamente sepolti sotto pile di libri, carte, lampadine e chissà cos’altro. La sua casa era il suo laboratorio: diceva che non sapeva quando poteva venirgli un’idea per una nuova illusione e gli piaceva avere subito a portata di mano ciò che gli fosse servito.

Mi mostrò il suo computer “da passeggio”. In breve, aveva montato un computer portatile su un tapis-roulant e, mentre camminava trattenuto da una cinghia intorno alla vita, lavorava ai suoi articoli. Poco distante aveva una tastiera collegata a mille lampadine di ogni colore che si accendevano a ritmo con la musica che suonava. In giardino c’era la famosa scatola impossibile, quella che si trova in tutti i libri di illusioni ottiche (e che vedete qui in alto). Ero così stupito da quello che vedevo che, avendo con me una videocamera, volli riprendere quella casa: temevo che, passando il tempo, mi sarei potuto convincere di avere sognato. Ora conservo come un cimelio quel documento irripetibile.

Ma la cosa che ricordo con più commozione è la grandissima umiltà di quest’uomo, che teneva conferenze e seminari in tutto il mondo; da Helsinki a Tokyo gli dedicavano convegni e mostre incentrate sulle sue illusioni ottiche, e lui, con quei capelli bianchi, i pantaloni di qualche centimetro troppo corti e i modi cortesi, sembrava solo un normalissimo nonno. In quei giorni, non ha lasciato mai che mi annoiassi o restassi solo ad aspettare qualcuno. Ha sempre voluto accompagnarmi con la sua auto e insisteva per offrire sempre lui ovunque si andasse, benchè non navigava certo nell’oro.

Ricordo che al termine della conferenza, si era fatto piuttosto tardi, con gli altri organizzatori eravamo passati a casa di Jerry per due chiacchiere. Dopo un po’ ero piuttosto stanco, forse dovevo ancora riprendermi dal jet lag, ma anche gli altri davano segni di essere pronti per andare a dormire. Erano forse le due di notte. Jerry, sorridente e sveglio più che mai, giunti sulla porta per salutarci, disse: «Bene, e ora signori se vi va sarei lieto di offrirvi un giro di coca cola al diner qui vicino». Mi dispiace dire che, per stanchezza, declinammo l’invito. Lo rividi il mattino dopo, perchè non solo mi volle accompagnare in aereoporto ma, siccome avevo fatto acquisti in una libreria locale, venne con me all’ufficio postale perchè non avessi problemi nello spedire in Italia il pacco di libri che avevo acquistato.

Fu l’ultima volta che lo vidi, anche se poi continuammo a rimanere in contatto via mail. Recentemente, era nata l’idea di dedicargli un numero di Magia. Così, stavamo scegliendo che cosa utilizzare per questo tributo in suo onore, e alcuni amici dell’Oregon mi stavano aiutando a raccogliere materiale. La malattia di Jerry, purtroppo, gli stava rendendo difficile utilizzare Internet e altri dovevano farlo per lui.

Non abbiamo fatto in tempo a discutere insieme tutti i dettagli, ma il numero di Magia a lui dedicato arriverà senza dubbio.

Randi, che era anche lui molto amico di Jerry, ha espresso benissimo il senso di mancanza che proviamo ora che lui non c’è più: «Sono rattristato, eppure provo sollievo. Questa magnifica persona – una delle persone più notevoli e uniche che io abbia mai conosciuto – ha reso più vasto il mio mondo, e mi ha procurato tanta gioia. Nel corso della nostra ultima telefonata, una settimana fa, mi ha assicurato che non soffriva, ed era amorevolmente curato dal personale dell’ospedale in cui si trovava. Parlai anche con loro, e li ringraziai per i loro servigi. Sono certo che Jerry li aveva conquistati tanto facilmente quanto aveva conquistato tutti noi. Addio, amico mio. La tua immagine sarà sempre con me, e quando mi troverò faccia a faccia con le mie ultime ore, spero di potere richiamare alla memoria il tuo coraggio e il tuo amore per tutti coloro che hai lasciato qui, dietro di te».

Chi volesse conoscere meglio Jerry, e vederlo all’opera in una serie di video, può visitare il sito web a lui dedicato.

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